Seno e affetto: una diade inscindibile?

Il primo mezzo di conoscenza dell’ambiente a disposizione di un neonato-lattante è la bocca. Il tatto, la vista e l’udito sono ancora in evoluzione e le percezioni sono quindi, oltre che confuse, anche non associate a determinati eventi se non quelli relativi all’allattamento. Il gusto e l’olfatto sono invece molto ben orientati. E’ rimasto famoso un esperimento che consisteva nel porre ai lati della testa di un neonato di pochi giorni due garze imbevute di latte, uno della madre e l’altro di un’altra donna. Costantemente si verificava il riflesso di ricerca dalla parte giusta, quella da cui proveniva l’odore della mamma.
Il legame donna-bambino è estremamente forte ed è indotto da fenomeni istintuali che coinvolgono entrambi i componenti della coppia. La madre si sente attratta da tutto ciò che è “neotenia” (fenotipo “infantile” caratterizzato da piccole dimensioni, aspetto indifeso, fonemi o grida acute di richiamo, bolla di Bichat particolarmente sviluppata, movimenti poco coordinati ed impacciati), tanto è vero che questo suo impulso si rivolge anche a cuccioli di altre specie o ad individui anche adulti che conservino alcune di queste caratteristiche.
Il bambino ricerca, dal contatto con la madre, non solo il nutrimento ma anche quello che nell’utero gli garantiva protezione e conforto (un abbraccio delicato e caldo in modo particolare, ma anche la percezione del battito cardiaco materno che, nel sacco amniotico scandiva i ritmi del suo tempo, la voce della madre che per nove mesi ha percepito e riconosciuto seppure attutita, ecc.).
Sono stati condotti studi specifici al riguardo. In un nido è stato posto un impianto di diffusione che poteva trasmettere il suono di un battito cardiaco regolato su un ritmo di 72 bpm (la normale frequenza di una persona calma ed in riposo). Il risultato è stato estremamente interessante. L’80% dei bambini che piangevano avevano, dopo questo stimolo, un tempo di sospensione del pianto molto inferiore rispetto a quello che avevano dimostrato in assenza dell’ascolto del ritmo cardiaco. Inoltre, altri studi hanno evidenziato che tenere in braccio il bambino usando il braccio sinistro (e quindi con il capo del bambino appoggiato all’emitorace omolaterale, dove si proietta l’apice del cuore) determina una pacificazione più rapida ed induce più efficacemente il sonno.
Da queste premesse si nota come madre e figlio siano complementari, nel senso che, in un certo qual modo, sono interdipendenti: il bambino ha bisogno della madre ma quest’ultima ha bisogno del bambino. E’ un fenomeno istintuale sul quale non mi soffermerò oltre se non per sottolineare il secondo termine dell’affermazione: la madre HA BISOGNO del bambino.
L’uomo è dotato di raziocinio e di sentimenti e costantemente carica ogni evento della sua vita di significati più o meno palesi e coscienti. L’allattamento al seno da origine ad un rapporto che non è quindi fatto solo di necessità caloriche ma anche di bisogni di ordine psicologico, di appagamento, di sentimenti fortissimi di appartenenza. Attraverso il seno si mantiene un invisibile “cordone ombelicale” che da al bambino ed alla donna la sensazione di essere ancora tutt’uno.
Questa coppia in realtà non è quindi una coppia ma un unico essere e questo costituisce, allo stesso tempo, un bene ed un male. Non voglio essere frainteso quindi spiego la mia affermazione.
E’ un bene perché istintivamente “costringe” la donna ad occuparsi del bambino e quindi a garantirgli la sopravvivenza. I sacrifici a cui si sottopongono le donne che allattano sono la dimostrazione più chiara della potenza di questo impulso. Non solo: fornisce al bambino conforto e calore, protezione e sicurezza ed alla donna la sensazione di essere artefice della vita ed indispensabile unico veicolo di affetto e nutrimento.
E’ un male poiché tale situazione, se si invetera, crea un’interdipendenza patologica nella quale ognuno dei due membri della diade necessita dell’altro per acquistare un equilibrio emotivo. Il bambino ricercherà il seno non solo per nutrirsi ma anche per confortarsi; la madre lo offrirà per garantire a se stessa la sensazione di essere indispensabile. Se questo, nei primissimi mesi di vita, è un fondamentale cardine per rendere possibile una costanza nelle cure parentali, col passare del tempo può originare in modo sempre più macroscopico un paradosso: il bambino tende a ritardare l’acquisizione dell’autonomia sentendosi sempre “la metà” di qualcosa e non un “individuo” intero e separato.
Sto naturalmente parlando di “rischi” ma pur sempre possibili e molto meno infrequenti di quanto si creda.
 

Di norma, ad un certo punto, nella madre si verifica (in condizioni di normalità ed intorno al 3°-4° mese di vita del bambino) una presa di coscienza del proprio “esaurimento fisico” e psicologico e la voglia di ritornare a svolgere attività differenti. Questo impedisce (sempre nella media) il progredire del rapporto seno-mediato. Sempre intorno a quell’epoca sorge nel bambino la curiosità nei confronti dell’ambiente (la vista ed il tatto si fanno più acuti e l’udito permette di percepire con interesse quanto accade intorno). Stare attaccato per troppo tempo al seno non è il modo migliore per osservare e quindi il piccolo tende ad attaccarsi per il tempo necessario alle poppate per poi staccarsi e guardarsi intorno, esplorare.
La coincidenza dei due fenomeni è impressionante.
E’ esperienza comune che un allattamento andato sempre per il giusto verso, intorno al 3°-4° mese inizi a creare problemi: risvegli notturni inusuali, attacco al seno e lotta contro di esso, pianti improvvisi che si quietano magari soltanto tenendo il bambino in braccio voltato in avanti invece che verso il corpo della mamma, stanchezza della nutrice che sente in se l’esigenza di rallentare i ritmi per concedersi un po’ di requie (desiderio confessabilissimo e legittimo ma assolutamente inespresso per il timore di sentirsi egoista).
Spesso accade che questo momento cruciale venga ignorato. La madre “tira avanti” seppure stanca ed il bambino si appiglia al seno per riflesso condizionato, dato che è l’unica cosa che gli venga offerta quando protesta per ottenere qualcosa di differente, qualche esperienza di tipo diverso. Altra constatazione comune, infatti, è il ritorno alla “norma” dell’allattamento al seno dopo questo periodo di piccole difficoltà.
Ora, se questa occasione di conoscenza del “diverso” viene perduta sarà più difficile per il bambino sfruttarla in seguito. La ragione è insita nell’evoluzione neuropsichica del piccolo. Egli, per riflesso condizionato, è portato a credere che il seno sia l’unica fonte (e non una delle molte) di conforto e nutrimento. Non imparerà facilmente che la mamma (che progressivamente si “allontana” da lui) è comunque presente e può dargli sicurezza anche semplicemente accarezzandolo mentre sta nel lettino o parlandogli. Ogni situazione che comporti un “distacco fisico” determinerà più facilmente il pianto ed il timore. Ogni mezzo di nutrimento che non sia il capezzolo verrà rifiutato. Tenderà a ricercare SOLO la madre per confortarsi (cosa che rende sicuramente orgogliosa la donna ma dipendente il bambino). Il sentimento di attaccamento diviene tanto forte (anche da parte della madre) che se il bambino , non protesta quando preso in braccio da altri, la madre sente nascere in se un sentimento di gelosia.
Lo svezzamento interviene positivamente proprio in questo periodo (3°-4° mese) e contribuisce ad allargare le conoscenze del bambino, oltre che a garantirgli un apporto nutrizionale adeguato al suo tasso di crescita che, in quel periodo, risulta qualitativamente e quantitativamente differente da quello dei primissimi mesi.
Riguardo all’accettazione delle novità riporterò inoltre un articolo interessante (Child Care Health Dev 9(6):321-6 “Prolonged breast feeding related to later solid food acceptance.” Paine P, Spegiorin C). In una serie di 132 bambini in piena salute ed a termine, studiati per i primi 18 mesi di vita, è stata valutata la facilità di accettazione dei cibi solidi. I risultati hanno indicato che i bambini nutriti esclusivamente al seno per un periodo inferiore o uguale a 3-4 mesi mostravano un’accettazione dei solidi a 18 mesi migliore di quelli che erano stati nutriti esclusivamente al seno per 6 mesi o più. Se ne ricava che l’allattamento al seno esclusivo e prolungato aumenta la resistenza allo svezzamento e che i problemi di alimentazione tardivi possono essere ridotti con l’introduzione di cibi “masticabili” ad un’età appropriata”