L'acquisizione delle "buone abitudini"

L’abituarsi a qualcosa non risponde a fattori genetici ma è un carattere acquisito. Esistono vari tipi d’abitudini:
- Fisiologiche: mantenersi puliti, allacciarsi le scarpe, osservare il silenzio, ecc. Questo tipo d’abitudini ha, come base, un riflesso condizionato.
- Affettive: ci si abitua ad essere esaltati o ad essere presi in giro
- Intellettuali: attenzione, riflessione, memorizzazione
- Morali: controllo delle emozioni, senso di responsabilità. Queste abitudini investono l’esercizio della volontà.
- Sociali: cortesia, linguaggio, modo di comportarsi.

E’ regola principale che, al bambino, siano proposte abitudini “buone” fin dalla primissima infanzia, nel rispetto dei tempi che al bambino stesso occorrono, secondo il grado di maturazione psicologica e neurologica da lui raggiunto nel corso della crescita.
Dalla nascita a tre anni il bambino acquisisce abitudini per addestramento, al pari di un piccolo animale domestico. Le sue capacità intellettive sono, infatti, prevalentemente governate da un impulso alla ricerca del massimo piacere col minimo delle energie. Questa premessa impone, quindi, di adottare una strategia d’approccio basata sui riflessi condizionati, vale a dire associando ad una determinata azione ben condotta, una gratificazione proporzionata alla “bravura” del bambino. Le espressioni di lode o di rimprovero (nel caso in cui vi sia disobbedienza) agiscono da rinforzo e, nel tempo, determinano la radicazione del riflesso generando un’abitudine.
In questa fascia d’età è vitale insistere sull’acquisizione d’automatismi riguardo alla pulizia personale (denti, viso, mani, indumenti), all’orario dei pasti (possibilmente regolare), alla qualità degli alimenti (quelli previsti per il pasto e non altri), al tono ed al volume della voce, al controllo dei visceri (dopo i due anni).
Le fasi d’apprendimento delle abitudini sono ben codificate anche se devono essere tenute in considerazione variabili di tipo ambientale, sociale, culturale, che influiscono sulla loro durata.
a) Fase dell’apprendimento PASSIVO: il bambino sembra non rispondere alle indicazioni dei genitori, per quanto assidua sia la loro attenzione nello stabilire il riflesso condizionato. L’evoluzione di questa fase è molto lenta poiché si basa su meccanismi logici di causa/effetto non ancora maturi a questa età. Può essere utile un esempio: chi impara ad andare in bicicletta incontra, all’inizio, difficoltà di coordinazione tra vari elementi (equilibrio, azione ritmica del pedalare, uso delle braccia e del tronco per mantenere la posizione ideale del baricentro) perciò impiega molto tempo per acquisire autonomia nell’azione. Durante questo periodo, però, ad ogni tentativo successivo, non gli è necessario iniziare da capo l’addestramento giacché gli elementi assunti in precedenza non sono stati dimenticati. Il lavoro del bambino segue questa stessa regola: egli non applica immediatamente le direttive (non ne è capace per motivi di maturazione neuro/psicologica) ma incamera ogni indicazione. Sarà con l’esperienza e col procedere per tentativi ed errori che giungerà alla fase successiva.
b) Fase dell’apprendimento ATTIVO: una volta assorbite le informazioni, e completati i collegamenti logici di causa/effetto (questi ultimi sviluppati con l’adozione di comportamenti deliberatamente provocatori, utili al bambino per ricevere conferme o smentite riguardo al suo modo di agire), si assiste alla spontanea adozione delle indicazioni proposte dai genitori, anche se l’azione non è ancora perfettamente conforme alle regole. Il dato più evidente, in questo periodo, è che il bambino, per porre in essere una procedura, non ha bisogno di stimolazione (si è generata un’abitudine): quello di cui necessita è il perfezionamento dell’azione. Volendo riprendere l’esempio del ciclista inesperto, potremmo affermare che egli è ora in grado di rimanere in equilibrio da solo, di pedalare in modo coordinato e di procedere per qualche metro senza cadere. Quello che gli manca è la tecnica (la velocità, la sicurezza, l’uso del cambio, l’abilità nelle curve, la resistenza). In questo periodo il genitore dovrà essere presente come fonte d’esperienza per il figlio, il quale, osservando ed imitando, acquisirà sempre maggiore competenza fino ad arrivare allo stadio successivo.
c) Fase di QUIESCENZA: il bambino è ormai divenuto abile a compiere le azioni che il progetto educativo dei genitori ha proposto. In questo periodo si raggiungono spontaneità e competenza a significare che principio educativo è divenuto parte della vita quotidiana del bambino. Ulteriori miglioramenti potranno essere raggiunti senza particolare sforzo.
d) Fase di LATENZA. Per la descrizione di questo periodo, ci torna comodo l’esempio del ciclista che, ormai esperto, è uscito dalla fase (c): un’eventuale e forzata inattività prolungata nel tempo, richiederà all’interessato, nel momento della ripresa dell’esercizio, la sola acquisizione dei perfezionamenti giacché la tecnica è ormai parte indelebile del patrimonio d’abitudini.

Il semplice schema appena descritto può essere applicato stabilendo fasce d’età corrispondenti alle fasi enumerate.
- DALLA NASCITA A DUE ANNI: apprendimento passivo (il bambino non effettuerà di sua volontà le azioni che gli sono con insistenza e coerenza proposte). All’apparenza non esiste ricezione dei messaggi educativi ed i genitori vivono l’esperienza di un forte senso di frustrazione. L’estrema delicatezza di questa fase è da attribuire in primo luogo al sentimento d’impotenza degli educatori: è possibile che, per stanchezza o scoramento, il genitore divenga meno coerente col suo progetto educativo (ad esempio consentendo, talvolta, cose che di norma proibisce) e quindi ne rallenti o ne arresti la progressione.
- DA DUE A QUATTRO ANNI: apprendimento attivo. Il bambino chiederà, ad esempio, di lavarsi i denti ma non ne sarà perfettamente capace. L’azione quindi, seppure spontanea, sarà inadeguata.
- DA QUATTRO A SEI ANNI: inizio della fase di quiescenza. L’atto del lavare i denti sarà spontaneo e ben condotto. In molti casi l’abitudine diverrà così profondamente parte della vita quotidiana del bambino che, nel caso di un impedimento alla sua attuazione, si osserverà un disagio.

Una regola da tenere presente nel proporre delle abitudini, è la coerenza della propria condotta nelle varie circostanze. Ogni buon comportamento va costantemente premiato in modo proporzionale alla sua importanza mentre ogni deviazione dalle regole va costantemente e coerentemente stigmatizzata (anche qui vale la regola della proporzione tra errore e punizione). Ogni eccesso di severità deve essere evitato esattamente come esclusa dovrà essere ogni ingiustificata concessione.

2) APPRENDIMENTO: SEMPLICI STRATEGIE

La meccanica dell’apprendimento riconosce delle fasi attive (in cui sì “insegna” a fare qualcosa) e delle fasi di attesa, durante le quali le regole insegnate sono incorporate dal bambino. Volendo fare un esempio pratico, se si paragona il bambino ad una carta assorbente e si assume che i dati forniti siano acqua, si noterà che l’assorbimento sarà massimale finché la carta conserverà porzioni asciutte; man mano che progredisce la saturazione, l’acqua dovrà essere versata con sempre maggior attenzione ed in minori quantità, se non si vorrà che vada persa. Inoltre la saturazione della carta impone che il tempo necessario tra un versamento ed il successivo, sia sempre maggiore, per consentire la possibilità all’acqua di distribuirsi sul tratto di superficie ancora non imbevuta. In definitiva più la carta è asciutta (il bambino all’inizio del processo educativo) maggiore la facoltà di versare acqua senza pericolo che si perda (le informazioni si possono erogare anche tutte insieme); minore lo spazio asciutto della superficie (il bambino che progredisce nelle sue abilità) maggiore l’attenzione nel versare ed il lasso di tempo tra i versamenti stessi (le informazioni sono somministrate poche per volta e ad intervalli sempre maggiori).
Dovendo insegnare qualcosa ad un bambino, quindi, si dovranno bilanciare i tempi dedicati all’apprendimento ed al riposo in modo inversamente proporzionale: all’inizio il tempo d’insegnamento sarà lungo ed il riposo breve; in seguito il tempo di riposo prevarrà su quello d’addestramento.
Questa regola consente di agire in modo congruo e consapevole, nel rispetto dei tempi di chi impara e non di chi insegna.

Un altro parametro da avere presente è il meccanismo con cui i bambini memorizzano le informazioni. Per “ricordare” occorre che l’informazione erogata sia associata a stimoli più o meno gratificanti, noti al bambino: quante più sensazioni sono veicolate insieme al dato in entrata, tanto maggiore sarà la probabilità che quest’ultimo rimanga fissato in memoria. Inoltre, se il dato “entra” nel bambino attraverso canali diversi in contemporanea, ha migliori probabilità di trovare una sistemazione durevole nell’esperienza.
I concetti astratti, in generale, sono molto difficili da comunicare e da far recepire: onestà, dolore, gioia, sono difficili da spiegare. Inoltre non si può contare sulla concentrazione del bambino che è discontinua e labile, perciò chi insegna è costretto ad essere conciso nel discorso ma prodigo di “immagini” e figurazioni (strategia, quest’ultima, eccellente per catturare l’attenzione e mantenerla viva).
Questi motivi impongono di parlare per “parabole”, usando figure che fanno parte dell’esperienza del bambino in modo da creare interesse con immagini alle quali, poi, il bambino si potrà ricondurre quando gli sarà necessario ricordare.
Per fare un semplicissimo esempio, la memorizzazione della lettera “V” richiederà, oltre alla ripetizione verbale, la sua resa grafica e l’associazione della sua forma a quella di oggetti familiari al bambino (le antenne di una TV portatile, le dita aperte in segno di “vittoria”, le lame divaricate di un paio di forbici). Occorre infine ricordare che, nell’apprendimento come nella memorizzazione, al bambino sono incomprensibili le sequenze temporali precise ed i rapporti tra cause ed effetti (fino all’età di due, tre anni). Non si può, quindi, insegnare solo a parole che il fuoco brucia o che la corrente elettrica folgora: in questi casi sarà necessario agire con fermezza, rimproverando il bambino che si avvicina ad un pericolo (e non tentando di convincerlo verbalmente, col rischio di intervenire dopo che si è verificato un danno) o la differenza che passa tra “ieri” ed “il mese scorso”.