Analisi sulla struttura della famiglia

La famiglia è il primo gradino che s’incontra quando si analizza una società. Questo significa che la sua struttura, variabile secondo le epoche ed il tipo di civiltà, riflette, in piccolo, la struttura della società stessa.
In Italia (e nei Paesi di analoga cultura) le funzioni di questo nucleo sono quelle (teoriche) di:
- prosecuzione della specie attraverso la riproduzione
- allevamento della prole, trasmissione della cultura, insegnamento delle regole
- relazione e socializzazione con altri gruppi familiari (realizzazione della Società).

La famiglia è, quindi, un gruppo naturale che garantisce ai membri, ora come nel passato, protezione e stabilità. L’adattamento ai tempi ed alle esigenze della società ha fatto sì che, fatti salvi i princìpi generali, la struttura della famiglia si sia modificata in modo sostanziale.
Nelle società preindustriali il nucleo familiare garantiva la produzione economica (alla quale tutti i membri erano chiamati con funzioni predeterminate dall’età e dalle competenze), l’istruzione (attraverso la trasmissione dell’esperienza dei membri anziani agli elementi giovani), la ricreazione ed il sostegno emotivo.
Inoltre esisteva un allargamento della famiglia stessa, nella quale convivevano più generazioni contemporaneamente.

La famiglia odierna è invece un nucleo ristretto a genitori e figli, nella quale la funzione produttiva è svolta all’esterno da uno od entrambi i coniugi, la funzione istruttiva è delegata alla scuola, la funzione ricreativa ai mass media o ai servizi sociali.
Nonostante queste modificazioni, va tenuto presente che il punto centrale e l’essenza sono rimasti gli stessi: la famiglia è uno spazio fisico nel quale i componenti devono trovare soddisfazione ai bisogni di affetto, relazione, espressione individuale e socializzazione.

Può essere utile esporre in breve una classificazione dei vari tipi di nucleo familiare. Come si vedrà, nonostante diverse composizioni (che potrebbero far pensare a differenti impostazioni rispetto a quanto stabilito sopra) il nocciolo rimane sempre lo stesso:
1) Famiglia molecolare tradizionale: i ruoli sono rigidi (donna casalinga e uomo lavoratore)
2) Famiglia a doppia carriera: ruoli paritari tra marito e moglie, entrambi lavoratori. Questo modello di famiglia è stato, negli ultimi 40 anni, il principale responsabile dei cambiamenti radicali e veloci avvenuti a livello sociale e di comportamento.
3) Unione libera: assenza di vincoli formali con diversa percezione sulla durata dell’unione, rispetto ai canoni tradizionali.
4) Famiglia comunitaria: composta di più coppie conviventi
5) Famiglia a gestione monosesso: si genera quando, a causa di divorzi o separazioni, i figli vivono con un genitore per volta per periodi prolungati.
6) Convivenza omosessuale: contraddice soltanto la finalità riproduttiva ma conserva tutte le altre (allevamento, ecc.), ad esempio attraverso l’adozione o l’affiliazione o la cura di figli altrui.

LA FAMIGLIA COME SISTEMA
La famiglia, come già detto, non è soltanto uno spazio fisico ma anche e soprattutto uno spazio mentale. I componenti, infatti, non trovano solo soddisfazione alle necessità fisiche (protezione, nutrimento, ecc.) ma soprattutto ricevono garanzie rispetto ai fabbisogni educativi, emotivi, affettivi, sessuali e di socializzazione primaria.
Come sua prerogativa fondamentale la famiglia è paragonabile ad un fluido più che ad un solido, poiché si adatta alle diverse esigenze imposte dagli stadi di sviluppo, in ed extra nucleari, degli elementi che la compongono (ad esempio i figli che crescono, i genitori che invecchiano, esigenze di lavoro, imprevisti, la morte di uno dei membri o la sua invalidità) pur essendo, nello stesso tempo, un elemento tangibile, concreto, sul quale far perno per assicurare continuità di sviluppo.
L’elemento centrale utilizzato per stabilire equilibrio in ogni condizione destabilizzante, è la comunicazione. Ogni sistema famiglia stabilisce delle regole interne ripetitive e caratteristiche di quel nucleo familiare. In base a queste regole, ogni evento nuovo, sia esso interno od esterno alla famiglia in questione, trova la sua collocazione e crea un adattamento positivo, sotto forma di un nuovo equilibrio o di una trasformazione (ad esempio un figlio che si sposa e lascia la famiglia d’origine, impone ai membri rimasti, un cambiamento nello stile di vita che comporti la rinuncia mentale alla presenza quotidiana del membro uscente).

Ciò che deve essere sempre considerato da ogni componente della famiglia, è che, per mantenere la propria integrazione nel gruppo, si deve evitare di sacrificare il benessere degli altri. Riprendendo il caso precedente (figlio che si sposa e si allontana da casa), la madre, ad esempio, non dovrebbe, per ristabilire il suo personale equilibrio, influire negativamente su quello altrui, accentrando sulla propria sensazione di perdita l’attenzione e le cure di tutti gli altri, togliendo loro una fetta di spazio fisico e mentale.

Le “crisi” che una famiglia affronta nel corso della sua storia sono molte e, come si vedrà, comuni:
- Formazione della coppia: implica la rinuncia alla libertà individuale in nome della condivisione.
- Nascita di un figlio.
- Entrata dei figli nella scuola
- Adolescenza dei figli
- Distacco dei figli
- Cambiamento di stato socioeconomico (sia in meglio sia in peggio).
- Malattie, morte.

L’adattamento alle situazioni sopra esposte deve passare necessariamente attraverso un’accettazione del cambiamento ed una modifica dell’equilibrio da parte di tutti i membri. Se anche un solo elemento non subisce adeguamento, tutti gli altri ne risentono (il disagio interno di un membro aggiunge un fattore di squilibrio ulteriore ad una situazione già destabilizzata).

Gli eventi che in questa sede interessano, sono soltanto i primi due ma rivestono un’importanza estrema dato il fatto che implicano un vero e proprio cambiamento di vita.

FORMAZIONE DELLA COPPIA
Rappresenta il primo momento critico poiché i due membri della coppia devono accorgersi che la famiglia non è una semplice somma di individui ma rappresenta la loro coagulazione in solo nucleo, laddove, ognuno dei due, pur mantenendo la sua individualità, contribuisce con la propria esperienza alla realizzazione di un nuovo modo di essere. All’atto pratico significa mettere in campo tolleranza, comprensione, disponibilità al colloquio, ecc.
All’inizio entrambi i membri della coppia si aspettano che l’unione prenda la forma a lui (o a lei) più congeniale, quindi si aspetta che l’altro si adatti. L’equilibrio si raggiunge quando entrambi hanno riformulato, nell’ambito della nuova situazione, il proprio spazio, prendendo le opportune distanze dalla famiglia d’origine e trovando elementi “agglutinanti” (idee, gusti, modo di intendere la vita, ecc.) che favoriscano la creazione di un costruttivo modo di convivere.

Non trovo ozioso insistere sulla necessità che ogni nuovo nucleo stabilisca regole sue proprie e tracci dei confini intorno al proprio spazio vitale. Le interferenze esterne rallentano i processi di equilibrio in tutte le fasi della vita di una famiglia, influendo negativamente sulla sua evoluzione e sulla sua capacità di adattamento.

NASCITA DI UN FIGLIO
Il sistema a due diviene un sistema a tre (o più ) variabili. I membri di origine sono investiti del doppio ruolo di coniuge e genitore.
L’ingresso del nuovo membro fa convergere le energie dei membri adulti su attività che, in precedenza, non sussistevano (la cura del bambino, la garanzia del suo benessere sia fisico sia psicologico. Molte attività sono sacrificate per crescere il figlio quindi la famiglia, che aveva raggiunto un equilibrio, deve riadattarsi alla nuova situazione (sonno perduto, orari nuovi, necessità improrogabili, diversa gestione del tempo libero, diminuzione dell’intimità e della frequenza dei rapporti, ecc.).
Ogni elemento della coppia nutre, nei confronti del figlio, aspettative e desideri. Dato che il figlio, pur essendo un elemento attivo della famiglia, nello stesso tempo riceve da essa i mezzi per collegarsi alla società attraverso un “modellamento” dettato dalle regole, bisogna che le regole stesse siano tali da non interferire con le aspirazioni e le capacità del soggetto.

Lo sviluppo del bambino nell’ambito della famiglia traccia per buona parte quello che sarà il suo futuro di adulto. Gli atteggiamenti che i genitori adottano nei suoi confronti incidono, a lungo termine, sul futuro modo di essere del soggetto.
Nel rapporto genitori/figlio si riconoscono due dimensioni bipolari, una riguardante l’attenzione (autonomia e controllo), l’altra il sentimento (amore ed ostilità).
Il significato del dipolo sul piano dell’attenzione, è il seguente:
1) CONTROLLO: il bambino è seguito molto da vicino in ogni sua fase di sviluppo e l’applicazione delle regole è rigida.
2) AUTONOMIA: al bambino è lasciato spazio per la sperimentazione autonoma dell’ambiente, nella attesa che impari per tentativi ed errori.
Sul versante del sentimento abbiamo invece:
1) AMORE: o affetto; è la condizione nella quale il bambino è accettato con serenità e gioia. In questa situazione ogni limitazione alla libertà dei genitori, imposta dalla presenza del figlio, non rappresenta un peso ed è affrontata in modo equilibrato.
2) OSTILITA’: non necessariamente avversione. Il figlio è visto come un elemento di disturbo perciò i riflessi sull’educazione saranno meno carichi di affetto e comprensione, pur essendo ineccepibili sul piano formale.

Secondo le teorie di Schaefer, la commistione in maggiore o minore quantità delle precedenti situazioni, configura quattro atmosfere educative principali:
a) AMORE + AUTONOMIA: atmosfera di libertà, democrazia, accettazione serena del bambino. L’imitazione da parte del figlio di tale atteggiamento affettuoso ed aperto, diviene una componente della sua personalità. Ne deriva un bambino con le seguenti caratteristiche: creativo, indipendente, gentile, protettivo nei confronti dei più piccoli e deboli, tollerante alle frustrazioni ma anche rumoroso, disordinato, aggressivo (in giusta maniera).
b) AMORE + CONTROLLO: accettazione serena del bambino ma in un clima di maggior rigore (in genere attribuibile alla paura di vederlo subire traumi o pericoli). Il bambino che ne esce ha le seguenti caratteristiche: educato, pulito, obbediente ma anche dipendente, sottomesso all’autorità, indeciso.
c) OSTILITA’ + AUTONOMIA: accettazione non serena del bambino in un clima di mancanza di controllo sulla sua evoluzione (scarse regole) ed appalesamento di tali sentimenti attraverso comportamenti aggressivi, alternati a fasi di lassismo educativo (“Fai ciò che vuoi, almeno ti togli dai piedi”). Ne deriva un bambino: aggressivo, scarsamente rispettoso dell’autorità, frustrato nella società per ciò che non può ottenere (e che magari ha ottenuto dai genitori) ed in famiglia (per il disinteresse nel quale vive. Ha la tendenza a prevalere sugli altri con la forza (ricerca del potere) senza rispettare regole di vita comune (interpretate come frustrazioni).
d) OSTILITA’ + CONTROLLO: accettazione non serena del figlio, con imposizione della propria dominanza. Ne risulta un rapporto freddo e controllato che determina nel bambino la tendenza all’isolamento ed allo sviluppo di forti sensi di colpa anche per piccole infrazioni. Il bambino diviene timido, silenzioso, rinunciatario e con problemi di adattamento.

In questa esposizione dei tipi/base, non si tiene ovviamente conto di tutti i possibili sottotipi generati dalla maggiore o minore dose di affetto, controllo, autonomia, ecc. che sono impiegati nell’educazione.
Un concetto cardinale lo si può comunque trarre: l’affetto genera autostima mentre l’ostilità tende a dare origine a sentimenti di inferiorità (il bambino crede di aver meno valore di quanto in realtà abbia).

La presenza di fratelli o sorelle modifica in maniera sostanziale la struttura della famiglia. Vengono infatti sperimentati:
- Reciprocità (quello che vale per uno, vale per tutti)
- Affetto (che è ricevuto non solo da parte degli adulti ma anche da coetanei)
- Giustizia (chi sbaglia paga ed è giusto che tutti ne capiscano le ragioni: in questo modo si rafforzano le regole)
- Protezione ed insegnamento nei confronti dei più piccoli
- Gelosia (quando esiste la sensazione di “ricevere” meno degli altri)
- Competitività
- Risentimento

I primogeniti, specie se il divario d’età con gli altri è notevole, possono andare incontro ad eccessiva responsabilizzazione.
In base al numero dei figli si creano situazioni che determinano peculiari atteggiamenti:
a) due figli: elevata competitività
b) tre figli: il secondogenito può assumere una posizione precaria (giacché situato tra il primo, responsabilizzato per l’età maggiore, e l’ultimo, coccolato e vezzeggiato essendo il più piccolo.
c) Quattro o più figli: tutti sono egualmente responsabilizzati poiché i genitori hanno meno tempo da dedicare ai singoli elementi. I genitori di famiglie numerose tendono, infatti, ad avere metodi e modi sbrigativi, autoritari (mancanza di tempo); come contropartita, la presenza di più fratelli mitiga questi comportamenti poiché il dialogo si crea spontaneamente tra gli elementi giovani che comunque si sostengono a vicenda.
d) Il figlio unico, per scelta o per necessità, dovrebbe non essere iperprotetto. I genitori dovrebbero controllare la propria ansia ed accogliere le amicizie del figlio. La socializzazione del figlio unico diviene in tal modo più semplice poiché non ha vissuto gelosie nei confronti di fratelli e sorelle.