Spunti a proposito dell'educazione dei figli

PRIMO SPUNTO: genitori manager che in aziende ed in attività lavorative gestiscono risorse umane ma sono incapaci di gestire i figli. Mancanza di tempo? Oppure si tratta semplicemente di una strategia per defilarsi dagli impegni che l’educazione comporta? E’ probabilmente più semplice avere a che fare con adulti, magari indisciplinati e ribelli o fannulloni, ma adulti, coi quali parlare nella certezza di esprimersi liberamente e con poco impegno o fatica, oppure avere la possibilità di ottenere risultati col comando senza discussioni. Chi è in grado di asserire che coloro i quali hanno grandi capacità manageriali (e sono, dal punto di vista della produzione e della razionalizzazione delle forze, estremamente adatti) sono qualificati per assumersi il compito di educatori? Secondo il mio parere chi riesce in questi compiti è il soggetto meno adatto ad educare in quanto manca delle doti umane e di partecipazione affettiva che sono vitali per i rapporti con un figlio. La spersonalizzazione del rapporto manager/maestranza non è compatibile con il processo educativo: la compartecipazione emotiva è deleteria per il primo mentre è vitale per il secondo. La tendenza a delegare, in queste famiglie, è molto più forte che nelle altre. In questo caso colui che ha la responsabilità dell’educazione fa da tramite fra il genitore ed il bambino e rende più fisiologico (per la mentalità del manager) il processo poiché se è vero che il figlio non può essere considerato una maestranza, lo è sicuramente il delegato all’educazione, sul quale sono riposte aspettative e col quale si può interloquire in modo “manageriale” (“ti pago, quindi pretendo..”). Non può essere sottovalutato questo aspetto, in un tipo di società in cui i valori preponderanti sono quelli della produzione e del reddito. Il genitore manager dal figlio si aspetta efficienza, capacità imprenditoriali; raramente i valori proposti sono quelli della comprensione, della generosità o simili. La filosofia ha poco spazio in questi rapporti.

SECONDO SPUNTO: Scuola guida ed educazione come parallelismo. Sono obbligato ad insegnarti come funziona l’automobile e quali sono le regole del codice stradale ma poi il viaggio da intraprendere è tua scelta. Non posso importi un itinerario.

TERZO SPUNTO: scuola privata versus scuola pubblica. L’iperprotezione, lo snobismo, sono veramente figli della scuola privata o non sono piuttosto l’impronta di un certo tipo di famiglia che, statisticamente, sceglie con più frequenza la scuola privata per i propri figli?

QUARTO SPUNTO:  L’educazione in famiglia condiziona lo sviluppo morale del bambino. Una volta stabiliti i cardini morali del comportamento, per quanto l’ambiente influenzi fortemente i modi di vita, esisteranno freni o facilitazioni che condizioneranno l’inserimento in ambito sociale del bambino, futuro adulto. E’ ovvio e normale che vi siano differenze tra i comportamenti in casa e fuori casa: quello che importa non sono le differenze di linguaggio od il modo di porsi. Su un substrato solido non può che crescere qualcosa di solido. Ciò che accade nei primi anni di vita, quando il bambino è sotto la tutela ed il controllo dei genitori, rappresenta l’ossatura di un edificio che si costruisce anche e soprattutto con la vita pratica, fuori delle mura domestiche, a scuola e con gli amici. Se l’impalcatura regge alle sovrastrutture sarà ben difficile che crolli. In termini pratici: se i genitori hanno lavorato bene, qualsiasi siano i contatti che il bambino stabilisce fuori di casa, non vi sarà una modificazione radicale dei canoni principali di comportamento (in particolare per ciò che attiene alla morale ed al rispetto reciproco). E’ riconosciuto dalla stessa Harris che ogni individuo tende a frequentare persone che gli somiglino o che condividano con lui i valori e gli interessi. Ci si chiede, quindi, come possano (o dove possano) formarsi gli embrioni di questi valori ed interessi se non nell’ambito della famiglia e nei primi anni di vita. Sono pienamente d’accordo sul fatto che un eccesso di ansia genitoriale riguardo agli atti educativi sia deleterio ma sono altresì convinto che il disimpegno generale (“tanto i bambini si educano da soli”) sia assolutamente da evitare. Sicuramente è più deleterio porre eccessiva attenzione sulla progressione del cammino educativo del bambino (con eccessi di proibizioni o di controllo o con la pretesa di farne ciò che si vorrebbe) perché questo stesso atteggiamento implicherebbe, da parte del bambino, un rifiuto aprioristico delle regole. Si dovrebbe, con saggezza, tornare al mio dubbio del SECONDO SPUNTO: fornire i mezzi per camminare da soli ed in sicurezza. Il viaggio lo deciderà il bambino ma le regole del codice stradale ed il funzionamento della macchina debbono essere stabiliti in partenza, con rigore e con precisione, anche a costo di comminare “multe”.