Concetto di "educazione" ed "addestramento"

Il presupposto da cui partire è che il bambino, alla nascita, non ha esperienze, quindi è totipotente (è, infatti, ugualmente possibile educarlo ad abitudini buone o cattive).
Educazione è (come l’etimologia della parola dice) un “ex ducere”, in altri termini un “tirare fuori” dal bambino una potenzialità e renderla atto. Addestrare è invece un “rendere destro”, vale a dire abile a compiere un’azione, il bambino in questione.
L’educazione può essere attuata solo se preceduta dall’addestramento cioè dopo che, nella mente, siano già presenti concetti ed immagini in sequenza più o meno logica, relativi al vivere sociale. In pratica l’educazione interviene a perfezionare atti che il bambino, in embrione, è già abile a compiere.
Nello sviluppo d’ogni cultura le regole cambiano (sia nell’ambito della cultura stessa, che evolve nel tempo, sia tra culture differenti). Questo significa che la morale, l’etica, l’etichetta, le abitudini di vita, cambiano da popolo a popolo e talvolta anche tra gruppi etnici di uno stesso popolo. Educare, ad esempio, un Italiano secondo gli schemi culturali cinesi, darà origine ad un individuo che sarà fenotipicamente italiano ma mentalmente cinese.
Si deduce, da quanto appena detto, che l’educazione è un insieme di convenzioni: il bambino deve imparare quelle che fanno parte del suo ambito socio/culturale se vorrà essere un individuo integrato.
Imparare le regole, per il bambino, non è una forzatura in senso assoluto (poiché, non possedendo un’educazione all’origine, non deve andare contro a princìpi già fissati e stabiliti) ma lo è in senso relativo giacché deve andare contro i suoi comodi. Usare lo spazzolino da denti, urinare nel vasino, mangiare con le posate, ecc. sono, per il bambino, metodiche contro natura che, finché non è raggiunta una maturazione neuro/psichica tale da spiegarne il significato sociale e personale, rappresentano solo una limitazione della libertà personale.
Com’è facilmente evidente, per ottenere l’accettazione di queste regole non bisognerà far leva sull’educazione ma sull’addestramento, cioè adoperando metodiche di tipo comportamentale (riflessi condizionati).
I bisogni fondamentali di tutti i bambini, in ogni popolazione ed in qualsiasi epoca, sono identici; nascono con le stesse esigenze e si comportano, per conservare il proprio benessere, sempre nello stesso modo (pianto, capricci, opposizioni, ecc.). L’addestramento, prima, e l’educazione, poi, li renderanno compatibili con i parametri della loro cultura d’appartenenza. Di fronte a cibo, bisogni fisiologici, desiderio d’affermazione, non vi sono differenze di comportamento tra le razze e le culture, fino a che non intervengano addestramento e educazione.
Parlare d’educazione non significa equipararla all’omologazione. Quest’ultima configura la situazione, esecrabile, in cui vi è conformazione passiva alle regole. Educare significa attuare un processo di “informazione” del soggetto ai canoni della cultura di cui fa parte in modo da creare un terreno sul quale il bambino, quando adulto, può lavorare anche contraddicendo le regole originali, qualora vi sia possibilità di un loro miglioramento. Il criterio di “non omologazione” dovrebbe essere seguito in primo luogo dai genitori, depositari delle regole e delle informazioni.
L’educazione è, infatti, un processo in rapida evoluzione e rappresenta un campo nel quale non possono, per definizione, esistere parametri fissi ed immutabili. L’atteggiamento dell’educatore dovrebbe essere elastico, tanto da potersi adattare alle esigenze espresse dal figlio man mano che cresce.