La motivazione ad educare


Il significato della parola “motivazione” è espresso dall’etimologia stessa del termine: qualcosa che costringe a muoversi (dal latino “motus” e “actio”). Essere quindi motivati significa essere fortemente spinti a compiere un’azione sotto la spinta di un’esigenza, sia essa fisica, sia metafisica.
In questa definizione è implicito il concetto di soddisfazione di un bisogno (ad esempio la ricerca del cibo quando si ha fame, la ricerca del successo per gratificare l’Io, la ricerca di un lavoro ben remunerato per aumentare il capitale, la ricerca della cultura per soddisfare il bisogno di sapere, lo stimolo ad educare la prole per la necessità di garantirle un futuro, ecc.).
La motivazione è, quindi,  il motore che consente la risoluzione dei problemi, grandi e piccoli, di ogni giorno, regola che vale sia per gli uomini che per gli animali (ovviamente su differenti piani).
Occorre distinguere tra bisogni primari e secondari. I primi sono volti a garantire la sopravvivenza (mangiare, bere, ecc.); i secondi intervengono in un tempo successivo e sono precipuamente volti al perfezionamento delle relazioni sociali ed alla conoscenza.
I bisogni primari sono irrinunciabili poiché riguardano il mantenimento in vita dell’organismo mentre i secondari provengono da esigenze cui è sottoposto l’uomo in quanto essere sociale e gregario.
La porzione istintuale della motivazione è identica sia nei bisogni primari che nei secondari; la parte razionale, invece, ha bisogno di rinforzi ambientali per condurre al perfezionamento dell’azione necessaria alla soluzione di un problema.
Di fronte a necessità assolute come il mangiare o il bere o il dormire, i procedimenti volti al soddisfacimento sono rinforzati dal bisogno stesso di mantenersi vivi, quindi non esiste la necessità di incoraggiamenti esterni o l’attesa di condizioni favorevoli per incrementare gli sforzi. Se, viceversa, si parla di studio o di lavoro, ci si rende conto che il discorso si complica notevolmente poiché non sempre è sufficiente avere la voglia: è assolutamente necessario rinforzare la spinta sia dall’interno che dall’esterno di se stessi (la differenza consiste proprio nella “non irrinunciabilità” dell’esigenza).
Per ottenere un risultato nel compiere un’azione volta al soddisfacimento di un’esigenza (di qualsiasi genere) il metodo è empirico, cioè si attua con la sperimentazione fattiva sul campo e si prende nota degli errori per evitare di ripeterli.
Ci si rende facilmente conto, in quest’ottica, di come il tentativo sia istintuale ma la correzione di un eventuale errore debba per forza essere razionale.
Se a funzionare fossero soltanto i meccanismi istintuali, l’uomo sarebbe in grado di risolvere unicamente i problemi di sussistenza (cibo, acqua, sesso, ecc.); quando si sfocia nel campo della scienza o delle relazioni sociali, invece, è necessario che la spinta primitiva ed istintuale sia rinnovata attraverso meccanismi di amplificazione e di retroazione provenienti dall’ambiente. Ad esempio, la motivazione a studiare viene corroborata dall’ottenimento di buoni risultati parziali; questi, in via retrograda, rinforzeranno ulteriormente la spinta a raggiungere il risultato finale.
La sensazione di maggiore o minor fatica, quando si parla di motivazione per il raggiungimento di scopi metafisici, ha una componente fisica ed una psicologica. Quest’ultima potrebbe efficacemente essere descritta come “prefigurativa”. La componente fisica è data dall’effettiva quantità di energia necessaria per soddisfare il bisogno, mentre quella psicologica consiste nel valore soggettivo che l’individuo attribuisce allo sforzo effettuato o da effetuare, cioè amplifica o riduce, a livello mentale, l’ammontare dello sforzo. Ho denominato “prefigurativa” la porzione psicologica del lavoro poiché il soggetto può risentirne la fatica prima ancora di iniziarlo. Data la premessa, si osserva come quest’ultima componente sia potentemente influenzata non tanto e non solo dall’importanza della meta da raggiungere, quanto dall’autostima e dal senso di responsabilità.
Infatti si può artificialmente “interpretare” come più o meno faticoso il compimento di un’azione, a seconda di variabili dipendenti dallo stato d’animo o similia. A parità di obiettivo, quindi, due individui possono soggettivamente risentire della fatica in modo differente (o considerare, se si vuole, più o meno difficoltoso il raggiungimento della meta). In quest’ambito la motivazione dovrebbe agire da regolatore della componente psichica dello sforzo, in modo inversamente proporzionale: più forte la motivazione, minore la sensazione di difficoltà e fatica percepita in itinere.
In pratica la motivazione direziona lo sforzo in modo che non sia mai perso di vista l’obiettivo, anche se le fasi intermedie comportano ostacoli ed errori (che non saranno più, di conseguenza, motivo di distrazione o di scoraggiamento).

LA MOTIVAZIONE COME STRUMENTO NELL’EDUCAZIONE
Da quanto premesso risulta intuitivo che la motivazione è la leva sulla quale insistere per ottenere un risultato nel campo dell’educazione. Chi ha responsabilità educative adopererà la motivazione su se stesso in quanto spinto dal bisogno di educare ma soprattutto l’userà sul beneficiario dell’educazione all’interno di un progetto finalizzato al suo inserimento sociale ed alla conoscenza.
Per chi educa essere motivato è vitale: rappresenta il punto di partenza da cui agire per generare un circolo virtuoso che influisca sulle motivazioni del figlio. E’ da supporre che per un genitore sia naturale essere mosso da questa forza. A ben guardare, però, anche per un padre od una madre la spinta può essere incostante a causa di fattori che cercherò brevemente di riassumere di seguito.
ANSIA: Può essere considerato il primo dei fattori ostacolanti. L’insicurezza, fonte dell’ansia, dovrebbe essere distinta dal dubbio. La prima genera, infatti, paralisi nel perfezionamento di un’azione (nei casi estremi), si manifesta contemporaneamente all’azione stessa ed interferisce negativamente, comportando, eventualmente, una distorsione nella percezione dei risultati.
Il “dubbio”, se non patologico, può invece intervenire in modo positivo poiché sorge DOPO valutazione delle conseguenze di un’azione ed è motivo di revisione delle azioni successive e di correzione di eventuali errori precedenti.
In definitiva mentre un ”insicuro” non inizia o non progredisce, un “dubbioso” modifica e migliora.
Il genitore ansioso è pervaso, in genere, da una sgradevole sensazione di inadeguatezza. L’effetto limitante sui rinforzi positivi è dovuto alla sua scarsa obiettività nella valutazione dei risultati ottenuti nel percorso. Si genera un circolo vizioso nel quale la motivazione viene soffocata dalla paura di commettere errori. In queste condizioni possono verificarsi tre evenienze:
1) la motivazione rimane ma l’azione è scoordinata ed incostante nel tempo. Il soggetto è quindi poco gratificato dal compito che si è assunto, interpretandolo come infruttuoso, pesante. Il rischio è dato da un cedimento che può evolvere verso una “paralisi educativa”, nella quale la tentazione più forte è quella di iperproteggere il figlio nel timore che ogni sua nuova esperienza  costringa il genitore ad un adeguamento.
2) La motivazione rimane forte ma il senso di inadeguatezza costringe l’educatore a scaricare su altri la responsabilità dell’educazione (scuola, amici, nonni, ecc.) . In questo caso, venendo meno l’ansia (poiché non c’è azione diretta) il soggetto può divenire ipercritico rispetto ai risultati ottenuti dal figlio e nei confronti di chi è stato caricato della responsabilità. In tale situazione sarà la motivazione di chi impara ad essere minata alla base da critiche dei metodi e dei risultati.
3) La motivazione ad educare si spegne, soffocata da una percezione gravemente distorta dei risultati che, per retroazione, genera nel soggetto una sensazione di inutilità degli sforzi. In questo caso il figlio non fruirà dei rinforzi che l’educatore ha il compito di somministrare: in pratica dovrà ricercare, con intuibili difficoltà, gratificazioni e correzioni al di fuori dell’ambito familiare, rivolgendosi dove è più semplice ottenere conferme (ad esempio facendo capo a compagni di età maggiore, con immaginabili conseguenze).
INTERFERENZE AMBIENTALI SVALUTATIVE: insorgono quando, nell’applicazione pratica di una strategia educativa, si riscontrano, da parte dell’ambiente e della società, critiche sul metodo e svalutazioni dei risultati. La motivazione del genitore può subire contraccolpi tanto più forti quanto più la recettività alle opinioni altrui è sviluppata. Il terreno più fertile è rappresentato dal genitore ansioso (vedi prec.). Senza considerare le buone intenzioni di chi si erge a giudice, l’educatore, per non esserne influenzato negativamente, dovrebbe usare le critiche come strumento a suo vantaggio. Se il progetto educativo che persegue è ben strutturato nei suoi fondamenti, tutto ciò che interviene dall’esterno a turbare gli equilibri ha la funzione di termine di paragone, sul quale rafforzare le proprie convinzioni o, se del caso, rivederle (vedi differenza tra insicurezza e dubbio). Risulta di facile comprensione che, nel caso di un progetto educativo confuso, le interferenze possano modificare o minare non i particolari ed i collaterali del metodo, ma il metodo stesso, rallentando o bloccando il progresso dell’azione. 

Questa regola, applicata non solo in campo culturale e sociale ma anche, più semplicemente, nell’ambito della puericultura (nutrizione e cura del bambino) facilita in modo determinante il lavoro del genitore fornendogli maggior libertà di movimento ed un potere decisionale più ampio (quindi più gratificazione). Le influenze esterne di peso maggiore sono:
- NONNI: per la loro pregressa esperienza e, talora, per scarsa fiducia nelle possibilità e capacità dei propri figli (ora genitori) hanno, in qualche caso, un forte potere nell’ambito di quanto sopra descritto.
- AMICI: l’ascendente è talvolta maggiore di quello dei nonni, specie se essi stessi sono genitori di figli della stessa età
- MASS MEDIA: le informazioni sono spesso distorte e capziose, volte a soddisfare esclusivamente esigenze di marketing
L’elezione di UN SOLO TERMINE DI PARAGONE può essere estremamente utile per non confondere i mezzi con i fini: bisogna tener conto che chiunque fornisca consigli o dispensi critiche è esso stesso motivato e quindi adotta strategie volte ad ottenere uno scopo.
E’ da tenere in considerazione che, in ambito educativo, le vie per raggiungere lo stesso risultato sono molte, quindi è facile perdere di vista l’obiettivo qualora i consigli ricevuti siano discordanti tra loro.
Il criterio di scelta del termine di paragone deve basarsi sulla sua obiettività e deve essere preferibilmente ricercato tra persone che non siano emotivamente coinvolte nell’ambito della famiglia o che abbiano secondi fini (sia materiali, sia morali). Come già sottolineato in un’altra sezione, tanto più è articolato e stabilito il progetto educativo, tanto meno sarà influenzabile il soggetto dell’azione. Ritorna la necessità di ripetere che andare controcorrente, se c’è un’idea di base razionale e documentata nei suoi risvolti positivi, non è motivo di ansia o di insicurezza: occorre semplicemente essere sereni nella valutazione degli atti compiuti in modo che i risultati che man mano si ottengono, abbiano un loro esatto inquadramento nell'ambito del progetto generale.
URGENZA: il tempo gioca un ruolo fondamentale nel corroborare o deprimere la motivazione ad educare. L’urgenza è un fattore a svantaggio in quanto rende ansioso il soggetto nella sua azione. Gli sforzi tendono ad essere meno direzionati poiché il pensiero dominante non è più l’obiettivo ma la sensazione di “non fare in tempo a far tutto”. Sperimentalmente è stato osservato, in occasione di esami universitari e prove scritte, che, di norma, non è la quantità di ore a disposizione che condiziona un miglior risultato, MA L’USO RAZIONALE CHE SE NE FA. In molti soggetti il fatto di avere un termine preciso (che nel caso della scuola è quantificato in ore mentre nel campo dell’educazione è dettato da esigenze sociali) da luogo, a prescindere dalla effettiva preparazione, ad un risultato più scarso. La motivazione, infatti, è, in questo caso, volta a “fare in tempo” e non a “fare bene”.
Si nota, da quanto detto, che la necessità di mantenere fisso un obiettivo è obbligatoria, anche se il fattore tempo gioca a sfavore: per quanto incompleta, una azione ben condotta porta sicuramente a risultati parziali apprezzabili e comunque migliori di quelli ottenibili in condizioni di confusione (cfr. ansia).
Per evitare inconvenienti derivanti da questo elemento, sarebbe opportuno che, nel raggiungere uno scopo, si pongano ad obiettivo una serie di risultati intermedi la cui somma dia, nel tempo, il raggiungimento ed ultimo. In questo modo si ottiene il vantaggio di distribuire il tempo a disposizione in modo razionale, onde raggiungere, senza eccessive pressioni, se non tutti, almeno buona parte dei targets prefissati (e quindi avvicinandosi alla meta in modo graduale e meno sensibile).
RISULTATI DIVERSI O INFERIORI ALLE ASPETTATIVE: L’azione educativa, in alcuni casi, può essere ostacolata dalla difformità fra ciò che ci si aspetta e ciò che avviene nella realtà, a fronte di un corretto comportamento educativo. L’aspettativa è un elemento importante nel programma pedagogico dei genitori poiché è il parametro sul quale modellare le strategie. Per darle efficacia debbono essere soddisfatti due requisiti:
1) obiettività riguardo alle possibilità di chi viene educato di conformarsi alle fasi che si sono stabilite per il raggiungimento dello scopo.
2) Modificabilità delle aspettative nel corso del processo educativo, in base alle risposte ottenute.
Una distorsione nell’uso delle aspettative può dare origine ad alterazioni nella valutazione dei risultati. La motivazione ad educare ne potrebbe risentire fortemente poiché, a fronte di una discreta risposta, una aspettativa superiore a quanto constatato da luogo ad una insoddisfazione dell’educatore.
Esiste il rischio di conformare il proprio atteggiamento ad eccessiva critica nei confronti del soggetto fruitore dell’educazione. Non si può, come già descritto in altra sede, pretendere sempre un campione perciò il dato della obiettività funge da regolatore nel progresso delle fasi intermedie. Il dato della modificabilità delle aspettative si inserisce esattamente in questo punto: una volta constatate le possibilità di risposta, si conformano le aspettative e le strategie. In questo modo si ridimensiona e riequilibra l’azione.
SENSAZIONE DI SPROPORZIONE TRA SFORZO E RISULTATI: Le fasi dell’apprendimento sono abbastanza codificate e dipendono dall’azione di due variabili principali:
1) capacità di recezione delle informazioni da parte del fruitore dell’educazione (legato a fattori di maturazione neuro/psicologica)
2) Capacità dell’educatore di adottare un “linguaggio comprensibile in relazione alla fase in cui si trova il bambino.
La prima variabile segue una curva abbastanza regolare ma, per quanto nella media sia simile in tutti gli individui normali, può talvolta mostrare fluttuazioni ampie. La seconda, invece, è poco codificabile poiché pesantemente influenzata da fattori ascrivibili al grado culturale, all’assetto psicologico di base , alle pressioni ambientali, ecc. Una discrepanza che intervenga tra le due variabili, genera la sensazione che lo sforzo educativo sia eccessivo rispetto ai risultati che man mano si ottengono. Questo discorso è strettamente legato a quello delle aspettative. Risulta intuibile, infatti, che se a fronte di un atto educativo reiterato coerentemente nel tempo non si assiste ad una adeguata risposta, la motivazione tende a decadere. E’ molto importante, quindi, che l’educatore segua in maniera cosciente e consapevole i progressi che suo figlio compie, relativamente alle sue effettive capacità espresse in quel determinato momento della sua vita, e non in valore assoluto. Nello sviluppo della personalità dell’individuo, infatti, si riconoscono fasi nelle quali può verificarsi un deliberato e cosciente rifiuto della risposta. La fluidità nel comportamento dell'’ducatore, rispetto a questo concetto, può essere risolutiva poiché consente di mantenere obiettività e genera la possibilità di modificare le strategie. La consapevolezza delle possibilità del bambino rende meno determinante il valore della risposta come elemento di  regolazione della motivazione.
AZIONE NON COORDINATA: Non occorre spendere molte parole su questo argomento. Una azione non direzionata po’ essere frutto di ognuna delle situazioni descritte sopra. Più che una causa, infatti, può essere considerata un effetto.

I fattori che rinforzano la motivazione ad educare sono riassumibili in alcuni punti che descriverò di seguito.
GRATIFICAZIONE NELL’ATTO DI EDUCARE: Non mi soffermerò sulle possibili fonti di gratificazione nell’educare poiché esse non sono assolutamente codificabili. L’atto dell’educare, in se, viene interpretato come un dovere e non sempre se ne colgono gli aspetti positivi.
Il rendersi conto delle risposte non è, di per se, sufficiente a creare condizioni tali da consentire un vissuto educativo piacevole. I progressi, infatti, sono raramente rapidi ed eclatanti in questa materia. Si assiste in generale ad avanzamenti quasi insensibili. L’acquisizione degli elementi positivi presenti nell’atto educativo, prima che nei risultati, deve essere, da parte dell’educatore, frutto di una ricerca attiva. Il punto principale che, nella mia esperienza, ho individuato come origine della gratificazione nell’educare, è la consapevolezza che l’atto dell’educare arricchisce chi educa. Il soggetto responsabile dell’educazione, infatti, qualora vi sia partecipazione attiva e cosciente nell’azione, si trova ad essere esso stesso coinvolto nella attuazione delle norme che suggerisce ed insegna. Infatti, per avere efficacia, un concetto deve essere applicato in primo luogo da chi lo propone, in modo che gli effetti di un comportamento corretto possano essere osservati nei fatti e non solo a parole ed in teoria.
La reiterazione e la ripetizione delle norme nonché la loro attiva applicazione, generano nell’educatore una tendenza all’evoluzione del carattere ed all’inserimento sociale. La condizione primaria per ottenere questo beneficio è di compiere, periodicamente, una introspezione, il cui fine sarà quello di autovalutarsi come persona oltre che come responsabile dell’educazione. Una corretta analisi porta, in genere, a considerare l’atto educativo gratificante di per se, anche se gli effetti non sono immediatamente rilevabili.
GRATIFICAZIONE NEL CONSTATARE I RISULTATI: Il rinforzo della motivazione, viene, in questo caso, viene dato dalla piacevole sensazione generata da un’azione ben condotta. Come precedentemente accennato, però, il dato dell’obiettività nella valutazione dei risultati, è irrinunciabile se si vuole ottenere questo rinforzo.
BUONA VALUTAZIONE SOCIALE DELL’AZIONE: Il rinforzo si ottiene dall’ambiente sotto forma di apprezzamenti o lodi o incoraggiamenti.
SPINTA COMPETITIVA: La descrizione è implicita nell’enunciato. E’ tanto maggiore il rinforzo della motivazione, quanto più forte è la sensibilità dell’educatore alla competizione. Risulta di facile comprensione che, questo elemento, può giocare pro o contro. La comnpetizione, infatti, pur se da un lato spinge ad ottenere risultati migliori di quelli altrui, dall’altro ostacola la selezione razionale dei mezzi con cui ottenerli. In base a quanto detto è possibile che, a parità di risultati, il metodo attuato sia stato più gravoso per il beneficiario dell’educazione o, comunque, meno conforme alle sue naturali doti e tendenze. In questo modo la risposta sarà vantaggiosa solo per l’educatore.
TEMPO BEN UTILIZZATO: L’uso oculato del tempo, nell’educazione, è motivo di rinforzo della motivazione ad educare poiché consente all’atto educativo, a parità di concetti da insegnare, di essere compreso ed attuato in modo migliore. Si ritorna, in questo modo, al discorso precedente sull’urgenza di educare. La quantità di ore non è più primaria in quanto ad importanza: diviene invece sostanziale l’uso accorto di esse. Questo permette di essere un buon educatore anche a chi, per lavoro od altri impegni, non ha grandi disponibilità orarie.

ALCUNI PICCOLI METODI PER ACCENDERE LA MOTIVAZIONE DELL’EDUCATO.
E’ necessario premettere (vedere paragrafo su educazione ed addestramento) che essere educati significa dover imparare delle regole. La motivazione deve, per questo, essere continuamente rinforzata perché adattarsi a regole di vita significa imporre limiti alle spontanee manifestazioni del se.
Per motivare un bambino sono necessari alcuni accorgimenti:
1) Lodare ed apprezzare costantemente i buoni risultati ma essere coerenti e puntuali anche nei rimproveri quando le azioni non sono condotte in modo adeguato.
2) Le situazioni cui si trova di fronte il bambino non devono essere mai descritte come difficili e complicate. A volte le difficoltà sono nella testa di chi insegna. Il principio dovrebbe essere: “Nulla è complicato e difficile: imparando a fare le cose, queste divengono automaticamente semplici”.
3) Non tentare mai di anticipare a tempi inidonei l’insegnamento di princìpi educativi: bisogna rispettare l’evoluzione mentale del soggetto.
4) Trovare sempre un linguaggio adatto alla comunicazione rispetto alle tappe di maturazione neuro/psicologica del soggetto ed alla sua personalità.
5) Il sistema di insegnamento deve essere “su misura” per ogni singolo.
6) Rispettare sempre e comunque la dignità della persona che si deve educare. L’umiliazione o il vilipendio non sono buoni sistemi per incoraggiare una persona ad imparare.