I benefici del latte di mucca

Oltre a testimoniare personalmente quanto asserito prima (riferendomi alla mia casistica composta da bambini figli di madri non nutrici, svezzati all'età di 3 mesi e mezzo mediante l'uso ANCHE di latte vaccino intero fresco invece delle formulazioni di proseguimento), riporto quanto la letteratura scientifica dice circa i fattori di protezione proteici e glicidici individuabili nell'alimento in questione.

Paragrafo 1: Le evidenze sperimentali

Van Hooijdonk e colleghi (Olanda) rilevano l'azione antimicrobica ed
antivirale della lattoferrina e della lattoperossidasi presenti nel latte bovino [1], [2]. Rilevano inoltre un'azione anti-infettiva riferita ai prodotti di degradazione dei lipidi, che si generano durante la digestione, e ad agenti antimicrobici peptidici che derivano dalla degradazione della caseina (in pratica frazioni proteiche della caseina stessa che si liberano durante la sua digestione) [1]. Il sistema della lattoperossidasi è presente anche nella saliva umana, nel fluido lacrimale e nel latte di donna. [2] Da Cross e collaboratori (Nuova Zelanda) viene uno studio che sottolinea l'esistenza di immunomodulatori tra le sostanze presenti nel latte bovino [3]. Schlimme (Germania) insiste anche sull'azione dei nucleosidi presenti nella frazione non proteica dell'azoto del latte di mucca. Hanno (oltre ad effetti sul metabolismo) un'azione immunomodulante, rinforzando le risposte anticorpali all'atto dell'esposizione ad un antigene. Contribuiscono inoltre all'assorbimento del ferro a livello intestinale ed influiscono sulla desaturazione ed elongazione delle catene lipidiche in via di sintesi. La componente ribonucleosidica del latte vaccino viene abbattuta dai trattamenti che subisce il latte nella sua trasformazione in liofilizzato (cosa che non avviene nel caso del latte fresco semplicemente pastorizzato) [4]. Gopal (Nuova Zelanda) parla anche del ruolo giocato dagli oligosaccaridi e dai glicoconiugati nell'immunità e nella protezione dalle infezioni. In pratica è stato testimoniato come queste sostanze si leghino a recettori di superficie presenti nell'intestino competendo coi patogeni, e favoriscano invece la crescita di una flora batterica fisiologica nel colon. Ovviamente i livelli di oligosaccaridi presenti nel latte umano sono più alti rispetto a quelli del latte di mucca. Nondimeno la loro struttura è identica così come la loro funzione [5]. Ebbene: fatte queste scoperte ecco che si cerca il sistema di utilizzarle a scopo industriale. Siamo di fronte a un mercato di latti per l'infanzia estremamente frammentato: 19 latti di partenza, 18 di proseguimento e 53 per lattanti con "bisogni speciali", per un totale di 90 formule, con il rischio di una frammentazione anche nel bambino, che sembra aver bisogno di un latte diverso per ogni suo "problema".
Questo rappresenta un elemento di forte sospetto verso i produttori visto che, a fronte di differenze di prezzo talora notevoli, la composizione non varia di molto (ovviamente per singola "categoria"). E' allarmante anche constatare che lo stesso latte viene venduto in altri Stati Europei (in drogheria) alla metà del prezzo che ha in Italia. Invece di promuovere l'uso del latte vaccino "sic et simpliciter" (con le dovute cautele e modificazioni, s'intende) si pensa di isolare quanto c’è di buono nel latte vaccino ed aggiungerlo ad alimenti artificiali. Per la mia (quasi ventennale) modesta esperienza invece, l'uso dell'umile e buon latte vaccino (opportunamente "adattato" alle esigenze del lattante umano) risulta assolutamente vincente sia dal punto di vista del bilancio nutrizionale sia dell'accettazione da parte del bambino (che lo trova sicuramente migliore dei liofilizzati, i cui caratteri organolettici sono più simili a quelli di un farmaco che a quelli di un alimento).
Per non parlare del risparmio in termini monetari.

Paragrafo 6: Le “allergie” al latte vaccino

Si parla di "allergia" quando esiste una testimoniata reazione immunitaria verso antigeni presenti nel latte vaccino (in particolare la betalattoglobulina, la lattoalbumina e la caseina). La prevalenza nella popolazione infantile varia (secondo gli studi) dallo 0,5 al 7.5% [1].
La disposizione familiare è un fattore che può far prevedere la sua insorgenza, nel senso che non è necessario essere "allergici" al latte per avere figli che manifestino tale problema: basta essere "allergici" tout court. L'espressione dell'allergia infatti segue una tendenza genetica a sviluppare anomalie di risposta nella reazione antigene-anticorpo(IgE) e/o un'alterazione nelle capacità di attivazione del sistema T-helper/ T-suppressor a vari livelli (quindi anche nell'intestino).
Nell'uso del latte vaccino, quindi, il miglior criterio da adottare è quello di escludere a priori dalla sua somministrazione (fino a circa un anno, un anno e mezzo) tutti i figli di persone che manifestino una qualche forma di testimoniata allergia (fosse anche una banale rinite o una dermatite da ipersensibilità). Ovviamente questo criterio si applica anche a tutte le sostanze dotate di forte potere antigenico (ad esempio il glutine, il pesce, le fragole, i crostacei, la frutta secca, l’uovo, ecc.). Del resto i bambini con diatesi allergica possono sviluppare reazioni anomale contro (virtualmente) tutti gli antigeni presenti negli alimenti.
Il potere di dare cross-reactivity immunitaria e determinare, ad esempio, un maggior rischio di diabete tipo 1 è insito anche nelle proteine del latte di soia (tanto per citare un alimento che viene spacciato come "inerte" dal punto di vista immunologico) [2].
Il tratto gastrointestinale è (intuitivamente) una porta d'ingresso, una sorta di interfaccia tra self e non self, quindi la sua struttura è obbligatoriamente corredata da una ricchissima rete linfatica e da una enorme mole di cellule immunitarie che "permeano" nel vero senso della parola ogni interstizio. Queste cellule sono in stretta comunicazione (attraverso secrezioni paracrine) con l'innervazione viscerale in modo da "tradurre rapidamente i segnali antigenici in modificazioni funzionali di tutta la mucosa tramite il sistema nervoso centrale ed il parasimpatico" [3].
Nulla di più facile che, a seguito di disposizione genetica o per fenomeni di tipo infiammatorio (ad esempio) che creino uno squilibrio nella funzionalità di questo servomeccanismo, possa verificarsi un'anomala sintesi di IgE verso un antigene specifico.
Quello che consola è la grande efficacia del sistema di instaurazione delle TOLLERANZE.
Molte cellule immunitarie sono infatti (e lo rimangono per tutta la vita) "dormienti". Possono venire attivate da meccanismi di tipo specifico (ad esempio certi antigeni e non altri) o aspecifico (mi viene in mente, ad esempio, una sovrabbondanza di citochine o interleuchine che, a seguito di un'infiammazione mucosa, possono essere liberate in gran quantità).
Al di fuori di questi due casi, però, il sistema immunitario associato all'intestino è obbligato (e sottolineo "obbligato") ad instaurare, nei confronti delle sostanze che viene a contenere in relazione all'alimentazione, una sorta di compromesso.
A ben pensarci se non ci fosse questo sistema non potremmo alimentarci del tutto, visto che ciò che mangiamo è sempre e comunque "non self" e quindi virtualmente ingrado di dare allergia.
A mediare questa tolleranza pare siano le popolazioni di Linfociti T-suppressor che bloccano gli attivatori della reazione immunitaria.
Secondo quanto riporta Stephen Gislason, in "Digestive tract immunology -Hypersensitivity and allergy":”Popolazioni differenti di cellule intestinali rispondono in modo diverso allo stesso segnale. Talora sono attivate da uno stimolo antigenico, altre volte ne vengono inibite. In alcuni studi è stato osservato che alcuni segnali agiscono simultaneamente su diverse popolazioni dando luogo ad una serie di reazioni non lineari e imprevedibili. Per quanto riguarda la produzione di anticorpi, ad esempio, non vale la regola "un antigene - un anticorpo". Una volta che sia sintetizzato il primo anticorpo, infatti, esso stesso stimola la produzione di una seconda linea di anticorpi anti-anticorpo che a sua volta stimola la produzione di anticorpi anti-anti-anticorpo e così via, fino alla quarta o quinta generazione. Il risultato è una specie di rete anticorpale riverberante che persiste in uno stato di perenne equilibrio fra attivazione ed inibizione”.
Torno allora al latte vaccino (ed in generale all'alimentazione ed allo svezzamento).
Una volta eliminati dal novero dei papabili per la sua somministrazione (per circa un anno, come già detto) tutti coloro che, per qualche ragione possono far pensare di essere "a rischio" (e questo vale anche per i latti formulati "di proseguimento, si badi bene), individuata la giusta età per somministrare questo alimento (non prima del III mese di vita), denaturate al calore le proteine più antigeniche (betalattoglobulina e caseina in modo particolare), l'instaurazione della "oral tolerance" è un fenomeno che non controlla più il Pediatra ma la natura.
Il meccanismo di instaurazione della tolleranza, infatti, prevede che l'intestino venga comunque a contatto con l'antigene. Poterlo riconoscere ed autorizzare all'ingresso senza subirne conseguenze negative sta alla gradualità con la quale si agisce ed all'età in cui si interviene, nonchè alle condizioni di "salute" e buona funzionalità dell'apparato che si va a stimolare.
Credo a nessuno venga in mente di somministrare cibi ricchi di potere "stimolante" sull'intestino quando questo ha un forte grado di immaturità e quindi la sua mucosa sia permeabile anche a complessi proteici di grandi dimensioni (quindi più antigenici) ma è altrettanto intuitivo che, dopo il quarto mese, la mucosa intestinale sia già immunitariamente pronta ad instaurare una corretta processazione dei nutrienti e quindi si possa con profitto agire a livello dietetico.
A questo proposito (e per concludere) dirò una mia personale opinione (basata sull'esperienza).
Ho la netta sensazione (ma le mie ricerche bibliografiche non l'hanno ancora vista confermata a livello sperimentale... probabilmente perchè non è venuto in mente a nessuno) che un ritardo nella presentazione degli antigeni comuni alimentari a livello intestinale provochi una specie di "blindatura" della mucosa. In un certo senso avviene un "chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori" Questo spiegherebbe come mai c'è una maggior tendenza a sviluppare allergie alimentari (non ho i numeri, purtroppo, ma è testimoniata a livello di letteratura una maggior incidenza di allergie nelle attuali generazioni) in quei bambini svezzati tardi e cimentati solo con alimenti altamente raffinati ed idrolisati o processati... in poche parole poco stimolati a livello mucoso. Sembra quasi (e questo in letteratura c'è, visto che è nozione comune il fatto che la tendenza a perdere la oral tolerance aumenta con l'età) che il primo anno di vita sia cruciale per l'instaurazione di un equilibrio immunitario efficace, sia nei confronti del latte che di tutti gli alimenti.
Infine, a proposito di "intolleranze", dirò che se ne parla a proposito dei sintomi più vari (cefalea, meteorismo, borborigmi, talvolta diarrea e vomito, dolori addominali, rash cutaneo, ecc.) ma sono di difficile classificazione, dato che portano con se una forte componente psicosomatica.
Le vere intolleranze non sono frequentissime e dipendono da difetti enzimatici (per esempio i casi di mancanza di Lattasi che impedisce la degradazione del lattosio presente nel latte) o dal contenuto degli alimenti in sostanze attivanti (tipo l'istamina), in sostanze tossiche o irritanti (ad esempio spezie) [4]. Non hanno relazione alcuna con le allergie anche se, purtroppo, questa distinzione raramente viene applicata nel caso in cui si presenti dal Pediatra un bambino con un eritema cutaneo o con problemi di coliche gassose.
 

Il latte vaccino, con le opportune valutazioni caso per caso (comuni anche al latte formulato “di proseguimento”) non determina danno alcuno in bambini sani e con anamnesi negativa per allergie o Diabete tipo 1. E’ un ottimo alimento che può essere usato (con le dovute ed ovvie modificazioni) a partire dal III mese di vita in quei bambini che verrebbero comunque nutriti con latti artificiali.
Tanto più efficace risulta la sua somministrazione, per un buon bilancio calorico e di integrazione di sostanze plastiche, se viene associato un programma di svezzamento a partire dal III mese e mezzo.
Quest’ultima notazione vale anche per i bambini allattati al seno nei quali la conservazione ad libitum delle poppate di latte materno deve essere comunque (per esigenze naturali di crescita) affiancata ad uno o due pasti solidi dei quali venga decisa la composizione in relazione alla velocità di crescita.