Qualche nota sul latte vaccino

Paragrafo 1: Premessa

Le critiche rivolte al latte vaccino, insistendo sulla sua "pericolosità" prima dell'anno di vita (anemie, intolleranze ed allergie, emorragie intestinali, ecc.), sono evidentemente in fase di cauto ridimensionamento. Coloro che non hanno creduto "en bloc" (naturalmente mi ci metto anch'io) a quanto la letteratura medica ha propagandato a partire più o meno dalla metà degli anni `80, sembra abbiano alla fine avuto ragione. Studi recentissimi hanno infatti rilevato la presenza, nel latte di mucca, di sostanze (isolate anche nel latte umano) volte alla protezione contro le infezioni ed al mantenimento dell'equilibrio metabolico (con particolare riferimento al movimento del ferro.
Fatte salve tutte le "controindicazioni" all'uso di latte bovino in soggetti umani (per pura cautela citerò anamnesi familiare positiva per allergie o diabete tipo 1 - per quanto di recente tali limitazioni siano state notevolmente ridimensionate al punto che c'è qualche studio propugnatore del latte vaccino come PREVENTIVO del diabete tipo 1), riscontrato il fatto che queste stesse "controindicazioni" riguardano anche il latte formulato "di proseguimento" (che altro non è se non latte vaccino liofilizzato e riarricchito con tutto ciò che ha perduto durante il processo industriale) e sottolineate le qualità inconfutabili del latte umano (finchè è possibile per la nutrice garantirne la produzione e la somministrazione), si può quindi dire che, anche al di sotto dell'anno di età ed in quei soggetti che verrebbero comunque nutriti artificialmente, l'uso dei latti "di proseguimento" in polvere può essere tranquillamente e proficuamente sostituito con latte vaccino intero fresco opportunamente e semplicemente rielaborato in casa (diluizione congrua ed arricchimento con malto destrine ed acidi grassi polinsaturi). Quello dei latti formulati "di proseguimento" (penso sia chiaro che mi riferisco praticamente solo ad essi quando parlo dell'uso del latte vaccino intero "home-modified" DOPO il terzo-quarto mese di vita e ad inizio svezzamento) è un discorso molto lungo.
La preferenza delle mamme sarebbe verso una conduzione alimentare la più fisiologica possibile ma le pressioni psicologiche subite da parte di un battage informativo, che stressa violentemente la possibilità di "far del male" al proprio bambino, le porta a conclusioni spesso poco razionali. Nella mia casistica i problemi di preparazione non costituiscono voce a se stante, dato che quando propongo lo schema di divezzo informo le madri di quello che ho intenzione di fare (programma alimentare) e da parte loro ricerco la collaborazione e l'accettazione della schedule. Posso solo dire che in altissima percentuale (praticamente tutte)sono felicissime di usare prodotti(certamente il latte ma anche verdure, carne, uova, pesce, ecc.) freschi piuttosto che liofilizzati od omogeneizzati. Non si tratta solo di indubbia miglior qualità dell'alimentazione e di un bilancio calorico più facilmente adattabile ma anche di un "effetto psicologico" positivo dato dal fatto che la madre si fa "preparatrice" del cibo del bambino e quindi (specie se non ha allattato) in prima persona "nutrice". Il legame affettivo ne esce rinforzato (ed è un aspetto da non trascurare). Il primo mezzo di conoscenza e di esplorazione che ha il bambino è la bocca. Cambiare i sapori e sperimentare alternative è un mezzo efficacissimo di sviluppo del SNC e della cenestesi. Non solo: rende il bambino più pronto ad accettare le novità (quindi facilita il lavoro della mamma che non si trova a dover "combattere" col proprio bambino per proporgli alternative nutrizionali)

Paragrafo 2: Come si è giunti alla “criminalizzazione”

Non voglio fare del latte di mucca SOLO un argomento di marketing, come credo sia comprensibile. Non mi piace e non è assolutamente mia intenzione. Quello a cui miro è che l'informazione (a cui attinge il cittadino medio, non medico né biologo e quindi tagliato fuori dalla possibilità di ricercare e ragionare in proprio) sia corretta e limpida, tanto da consentire una scelta meditata. Nel lontano 1981 Fomon (per primo) descrisse, in bambini nutriti con latte vaccino, la presenza di sangue occulto nelle feci. L'articolo aveva toni piuttosto blandi ed era il frutto di uno studio condotto su 81 bambini tra i 112 ed i 196 giorni di vita. Il latte vaccino non trattato (cioè immodificato, notare bene) provocava, in percentuale significativa, un microsanguinamento intestinale se somministrato entro il 140° giorno di vita, a differenza di bambini nutriti con formule (nello studio si menziona l'Enfamil). Dopo questo termine, però, si constatava che tra i due gruppi non c'erano differenze e, cosa ancor più significativa, che coloro che erano nutriti a latte vaccino (nonostante il sangue occulto) avevano parametri ematochimici
sovrapponibili a quelli dei bambini senza sangue occulto. [1] L'unica conclusione a cui arrivava era quella che sarebbe stato opportuno evitare di somministrare latte vaccino al di sotto del 140° giorno di vita (poco più di quattro mesi).Da qui in poi si è scatenato il putiferio. Additando la perdita "occulta" di sangue (innocente, come lo stesso Fomon ha rilevato) come causa di possibili e gravi anemie, una gran mole di studi è stata prodotta per dimostrare che il latte vaccino poteva essere causa di problemi. Si disse che il suo uso doveva essere "bandito" almeno fino al VI mese di vita e sostituito da latti formulati "di proseguimento". Alcuni di questi studi (molti, devo dire) prendevano però in considerazione popolazioni di bambini non esattamente omogenee (grossi consultori di pediatria in centri urbani popolosi a cui afferivano strati sociali i più diversi nonchè raccolta di dati soltanto anamnestica con rilievi ematochimici effettuati solo all'atto della visita "terminale" e finalizzata allo sviluppo statistico) e parlavano di ferritina e sideremia “patologicamente basse" in conseguenza dell'assunzione di latte vaccino, con susseguente raccomandazione di non usarlo [2], [3], [4].
Non solo: dato che da alcuni studi, sempre parziali, nel senso che non prendevano in considerazione molti parametri addizionali per valutare le risultanze ematochimiche (la velocità di crescita, la ferritina all'atto della nascita, il concomitante uso di prodotti alimentari diversi dal latte, ecc.), emergeva che il "danno" risultava possibile anche dopo il VI mese di vita, si iniziò a considerare relativamente "sicuro" il termine dell'anno, ovviamente per ciò che attiene alla
somministrazione di latte vaccino. La disamina di questi lavori portò il comitato ESPGAN a riunirsi e a decidere quale fosse, sulla base di evidenze sperimentali, il giusto contenuto calorico di un latte "formulato" di proseguimento che sostituisse in modo efficace il latte vaccino nello svezzamento o, comunque, nell'allattamento di bambini sfortunatamente non nutriti al seno.
Partorirono una tabella (divenuta una sorta di vangelo) e raccomandarono di "arricchire in ferro" le formule così da evitare il gap costituito dalla ferritina e dalla sideremia "basse" (implicitamente ammettendo, quindi, che le formulazioni "di proseguimento" erano esse stesse fonte degli stessi possibili "danni" ventilati per il latte vaccino fresco).
Siamo alla metà degli anni '80 ma già allora c'era chi "dissentiva" da questi principi di esclusione del L.V. dalla dieta infantile.
Dommergues, in un intelligente articolo pubblicato su Arch Fr Pediatr, rilevava che, tra i fattori di rischio più importanti per l'anemia infantile, c'era senz'altro anche l'uso di latte vaccino (intero, immodificato ed ESCLUSIVO, cioè senza una parallela introduzione di altri alimenti) ma soprattutto c'erano le condizioni della madre (multiparità), sociali (scarsa introduzione di ferro in gravidanza) e dalla RAPIDITA' DI CRESCITA del bambino (parametro, questo, che nei precedenti studi era stato ignorato) [5]. Qualche ulteriore dubbio venne fuori da una considerazione molto banale ma nondimeno importantissima: quali sono i valori per considerare "anemico" un bambino? Leggendo la letteratura internazionale si scopre, ad esempio, che per la Scuola Austriaca l'HB è normale se parte da un valore di 10, mentre per Scandinavi ed Americani è anemico un bambino con meno di 11.Qualcuno si è preso la briga di fare un buon lavoro di screening studiando l'andamento dei livelli medi di Emoglobina, Ferritina, Protoporfirina eritrocitaria (FEP) e Volume medio corpuscolare dalla nascita ad un anno. Ne è venuto fuori che è fisiologico un calo dell'emoglobina tra il 15° ed il 122° giorno con costanza dei valori fino al 365°, che l'MCV non è un valore attendibile data l'estrema variabilità in relazione al tasso di crescita individuale, che la FEP rimane costante dal 122° giorno fino all'anno e che la ferritina tende spontaneamente ad un calo tra il 15°ed il 183° giorno per rimanere poi costante fino all'anno. [6] Un dato importante che emerge da questo studio è che non ci sono differenze tra i bambini nutriti al seno per più o meno tempo rispetto al termine di 122 giorni (4 mesi). E sempre a proposito di parametri: è stato detto (e rilevato) che le riserve di ferro alla nascita influenzano in modo evidente l'iron status delle età successive essendo la ferritina del cordone ombelicale significativamente correlata con i valori rilevati a 6 mesi e ad un anno, in assenza di relazioni tra valore di ferritina e valore il ferro di emoglobina. [7]
A fronte di questo vogliamo ancora invocare il latte vaccino come causa esclusiva di "anemie" nel lattante?

Paragrafo 3: Perché “non prima dell’anno”?

Una buona domanda che si è posta anche Bob Sperber in un Feature article su Medscape Pediatrics (27/5/1999). L’autore dice che è sicuramente giusto non illudersi che il latte intero sia la risposta per le carenze di ferro (occorrono ben altri alimenti) ma sottolinea come sia dannoso propagandare quest’informazione in modo allarmistico, prevedendo conseguenze disastrose (testuale: ecco un promemoria per poter dare ad un bambino il suo “baffo di latte” senza spaventare a morte la gente). I marketers dovrebbero essere accorti nel cercare profitti su problemi medici e nutrizionali seri.
Cita la Mead Johnson e la Brystol Myers che ventilano, in uno studio recente, la possibile interferenza delle carenze di ferro indotte dal latte vaccino, sullo sviluppo intellettivo dei bambini.
La prima sua eccezione è:
- se è vero che il LV fa male entro il primo anno di vita, cosa succede dall’anno in poi? Come è stato stabilito il termine di “un anno”? A questo proposito Susan Ruland (vice presidente dell’IDFA) dice che per i bambini, tra 1 e 2 anni il latte intero è il miglior nutrimento. Come si conciliano le cose?
La seconda eccezione:
- Ponendo che il LV non è la miglior fonte di ferro per l’infanzia (ed è vero!) , per quale motivo gli studi attuati su questo argomento non prendono in considerazione la dieta globale dei bambini (e la sua adeguatezza complessiva) per soffermarsi solo su un alimento (è la stessa eccezione che ho fatto io commentando questa piccola rassegna)?

La nutrizione ottimale per i bambini include non solo il latte ma anche e soprattutto l’introduzione di cibi solidi ad un’età adeguata (tra i 4 ed i 6 mesi) L’autore conclude con queste parole: “Per molti, nell’industria, la salute e gli affari non si conciliano su questo particolare problema”. Egli sottolinea che il marketing applicato sulla popolazione delle madri deve portare con sé un’informativa responsabile.
Ma vorrei andare oltre, se mi è permesso. Che il latte vaccino (ma, a questo punto QUALSIASI LATTE, anche quello umano) non sia una fonte sufficiente di ferro è assodato. Quello che lascia perplessi è l'uso del solo latte come alimento esclusivo per un tempo che (sempre dall'ESPGAN) arriva fino ai 6 mesi di vita. Cerco di dire che il sistema gastrointestinale di un individuo umano è evoluto in senso ONNIVORO e quindi, per gradi e con raziocinio di chi prepara la dieta, è in grado di ricavare elementi calorici e plastici da molte differenti fonti di proteine, grassi e carboidrati.
Ha senso quindi prolungare l'allattamento esclusivo fino ad epoche tardive per poi supplementare il latte con ferro solfato e similia quando, molto più proficuamente, questo ferro (sotto forma di eme) verrebbe assunto con la carne da una dieta composta da minestre?
Ha senso, in vista della prevenzione di "supposte" allergie, somministrare pappe di cereali arricchite in ferro invece di una sana minestrina con passato di verdure, olio e derivati proteici animali?
Per rispondere a queste domande non mi rifarò alla mia personale esperienza (necessariamente "di parte") ma alla letteratura scientifica. Forsyth rileva che i bambini con precoce introduzione di solidi (prima delle otto settimane) sono “più pesanti”, più "massicci" in termini di massa magra, di quelli che hanno introdotto solidi più tardi (dopo la 12 settimana) e mantengono questa caratteristica fino alle 104 settimane (2 anni), epoca nella quale è stata notata una equalizzazione dei monitoraggi. Non è stata rilevata alcuna maggior incidenza di malattie respiratorie o eczema o patologia gastrointestinale. [1] Egli conclude che l’introduzione anche molto precoce (2 mesi) di cibi solidi non porta conseguenze "disastrose".
Qui ovviamente si esagera introducendo cibi solidi a 2 mesi! Nonostante questo i rilievi non sono assolutamente negativi per ciò che attiene alle conseguenze. Gli stessi autori, in un articolo del 1998, rivedendo probabilmente a maggior distanza di tempo i bambini di questo studio, concludono che l’introduzione dei solidi andrebbe rimandata all’età di3 mesi e mezzo, dato che nel loro studio sono emersi (alla distanza)eventi patologici (soprattutto respiratori) probabilmente relativi all’introduzione di cibi solidi tra le 8 e le 12 settimane.
Citavo, nella prima parte (cfr. all’inizio), che il parametro "velocità di crescita" era stato (non so fino a che punto volutamente) ignorato quando si prendeva in considerazione lo "stato del ferro" dei bambini e che sulle microemorragie intestinali ormai c'era stata un'archiviazione, dandone per scontata la pericolosità. Ebbene la letteratura e i gruppi di studio non si sono disinteressati al problema. Fuchs [2] in uno studio su 104 bambini nutriti ANCHE a latte vaccino non ha rilevato alcuna associazione tra stato del ferro e microemorragie intestinali assolvendo il povero ed innocente alimento. Andava anche oltre: le microemorragie non sono causa di deplezione di ferro. Michaelsen [3] ha osservato che bambini con alti valori di ferritina e di protoporfirina ad un determinato campione di sangue, continuavano a dare lo stesso risultato ai seguenti, suggerendo che le riserve di ferro alla nascita sono una determinante sull’”iron status” delle età successive. Ha rilevato inoltre che:
1) tra i 2 ed i 6 mesi la ferritina era inversamente proporzionale alla velocità di crescita
2) Tra i 6 ed i 9 mesi la ferritina era inversamente proporzionale all'introduzione di farine e direttamente proporzionale all’introduzione di CARNE e PESCE.
Se ne ricava che i bambini con alta velocità di crescita associata a criteri nutrizionali che includano molte farine e poca carne o pesce, sono candidati all’anemia carenziale per depauperamento delle riserve che sono presenti alla nascita (e non reintegrate con congrua alimentazione). Questo con buona pace di chi sostiene, come primi alimenti, farine di cereali e cereali "arricchiti". A proposito di quest'ultimo rilievo, anche Persson [4] ha osservato, in un gruppo di bambini con buona crescita e di un anno d’età, che unquarto presentava deplezione di ferro sebbene in assenza di anemia, e che un terzo aveva deplezione di zinco. L’alta quantità di cereali usati nella dieta dei bambini svedesi a partire dal 6 mese, può aver limitato la biodisponibilità sia del ferro che dello zinco di provenienza alimentare, è la sua conclusione.
Ultima voce (che mi supporta nelle scelte nutrizionali per i miei pazienti) è quella di Morley [5].Egli dice che le formule fortificate con ferro non conferiscono alcun vantaggio di sviluppo rispetto al latte vaccino. Il suo studio randomizzato è stato realizzato su 493 bambini sani di 9 mesi, suddivisi in tre gruppi:- latte vaccino- formula a basso contenuto di ferro- formula ad alto contenuto di ferro. A 18 mesi d’età la rivalutazione è stata effettuata monitorizzando i parametri ematochimici, la crescita e le abilità motorie e mentali (scala di Bayley). Ne è emerso che i bambini nutriti con formule, seppure più ricchi di scorte di ferro (ferritina più alta), non mostravano alcun vantaggio di crescita o di intelligenza o di abilità motoria rispetto a quelli nutriti con latte vaccino. Conclude che l’uso di formule fortificate può essere utile SOLO in quei bambini che tendono a manifestare forme di anemia (la minoranza) ma non in tutti gli altri.

Paragrafo 5: Ma l’anemia da latte vaccino è una reale possibilità?

La percentuale di VERI anemici (tasso di emoglobina inferiore a 9.5),in tutti i lavori, è bassissima. E' variabile la percentuale di bambini con ferritina bassa (scorte) e su quest’ultima si basano coloro che vogliono insistere sull'integrazione con ferro delle diete artificiali. Ci sono decine di lavori che dimostrano come nelle formulazioni l'integrazione di ferro sia in assoluta eccedenza rispetto alle capacità di assorbimento intestinale ed ai fabbisogni reali (e tutto ciò che è in eccedenza va perso oltre a rischiare di avere effetti sgradevoli come meteorismo, diarrea e
similia). Scorrendo la bibliografia si trovano articoli che dimostrano come ferritina (scorte) ed emoglobina (effettiva quantità di ferro funzionale all'ossigenazione cellulare) siano tra di loro sganciate. Inoltre la ferritina (tanto considerata) è legata a fattori individuali imprevedibili (velocità di crescita, suo valore alla nascita e via dicendo). Il mio schema, invece, tiene conto della velocità di crescita, ecc. poichè prevede il ferro a partire più o meno dal IV mese sotto forma di ferro EME (carne) e non di ferro solfato (quello che viene aggiunto alle formule ed infinitamente meno biodisponibile). Inoltre, come noto, il ferro EME fa da enhancer per l'assorbimento del ferro NON-EME contenuto ad esempio nelle verdure. Se invece di dare una formula o una pappa di cereali arricchiti con ferro e vit. C si somministra un brodo vegetale con un po' di carne e si fa bere al bambino un pò di succo fresco d'arancia, si ottiene (con sommo piacere del palato) un effetto molto più macroscopico riguardo alla reintegrazione delle scorte di ferro.
Inoltre: per evitare rischi di deplezione, è utile iniziare lo svezzamento (che significa semplicemente sostituzione di UNO o massimo DUE pasti con cibi solidi lasciando al latte il resto della funzione, materno o vaccino che sia) intorno al 3° mese e mezzo, gradualmente e con prudenza, in modo da arrivare, verso il 4° mese e mezzo, a pasti principali (pranzo e cena) composti da minestre in cui il bilancio calorico ed il contenuto in principi nutritivi sia deciso in base alle esigenze del singolo. I preparati industriali sono "standard" mentre le minestre si preparano usando di volta in volta i prodotti che il Pediatra ritiene siano più utili in base alle osservazioni che compie sulla crescita del bambino. Il latte vaccino, nello schema da me progettato, si inserisce (nei bambini figli di madri non nutrici) al 3° mese e mezzo e viene seguito, a distanza di un paio di settimane, da una minestrina in brodo vegetale semplice e priva di alimenti allergizzanti. Fino al VI mese non prevedo l'introduzione di glutine, pesce, uovo e legumi. Da quell'epoca in poi inizio (uno per volta) con alimenti più ricchi di "antigeni" e tra un'introduzione nuova e l'altra lascio passare almeno un mese. I dati di Hb e di Ferritina che rilevo sperimentalmente nella mia casistica sono assolutamente congrui con la normalità e posso confermare che, mentre il tasso di ferritina è assolutamente inaffidabile, quello dell'Hb è sicuramente più attendibile. Inoltre, posso dire, che i bambini allattati esclusivamente al seno per più di 4-6 mesi tendono ad avere una ferritina ed un'Hb più basse dei bambini svezzati intorno a quel termine. Non ho detto che sono anemici...ho detto depleti (il che è ben differente). E' un rilievo paradossale (alla luce delle direttive ESPGAN) se si pensa che il comitato consiglia l'allattamento al seno "esclusivo" fino a quel periodo. Ora vorrei lasciar da parte tutte le connotazioni psicologiche (importantissime) che ha l'alimentazione per mamma e bambino e parlare accademicamente dell'alimentazione considerando solo gli effetti sul metabolismo. Chi ha mai detto (e questo è un elemento di conoscenza fondamentale)che "svezzamento" significhi "sospensione del latte materno"? Ho donne, nella mia casistica, che hanno continuato ad allattare finoltre l'anno (pur integrando il loro latte con due pasti principali solidi). Infine: sto conducendo uno studio sulle anemie che tiene conto dell'ittero neonatale. Tutto il ferro di risulta dalla sostituzione dell'Hb F con HbA nei primi 15 giorni di vita va a finire nel fegato sotto forma di ferritina. Questo significa (se la mia teoria è esatta) che più intenso è l'ittero neonatale più ferritina il bambino risparmia. Un ittero neonatale intenso significa "pletora" di globuli rossi, cioè (in termini grossolani) ferro in esubero. Calcolando che il bambino raddoppia il suo peso alla nascita intorno al IV mese (incrementando anche la sua massa ematica) e che la vita media di un globulo rosso è circa 120 giorni (cioè 4 mesi) si osserva facilmente come sia la natura stessa a GRIDARE per ottenere un po' di ferro alimentare (e non solfato o fitato) proprio in quel periodo.