Sostegno alle donne in allattamento: a chi, come e da chi.

 

peer-counselor1/7/2015

L’allattamento al seno è il primo e più importante atto d’amore che una donna compie nei confronti di suo figlio. Ce ne saranno molti altri ma quello fondamentale per l’attaccamento e per l’imprinting è mediato dal seno. Lasciando da parte le considerazioni di ordine strettamente nutrizionale (composizione del latte, adeguatezza calorica e di apporti, ecc.) l’atto in se è una sorta di trasferimento alle braccia e alla mammella di quell’aura di protezione e conforto che l’utero e la placenta garantivano in epoca fetale. Le implicazioni emotive, di conseguenza, non sono secondarie: la madre non solo da la vita ma la mantiene. E’ una cosa grande, senza alcun dubbio e senza, credo, alcuna possibile discussione. Dovrebbe essere istintivo e naturale questo atto così primordiale: le sue radici (dal punto di vista anche ormonale oltre che emozionale) stanno nei geni e in parti del cervello che l’uomo condivide con tutti i suoi parenti mammiferi quindi la motivazione a farlo dovrebbe essere altrettanto naturale e spontanea, nemmeno discutibile. Nascita, bonding e allattamento sono un continuum.

Fin qui la teoria che, in un numero piuttosto consistente di casi, si traduce (e con soddisfazione) in pratica. Dall’ultimo rapporto ISTAT risulta che quasi l’86% delle donne nutre al seno e che il periodo di allattamento, in termini di mesi, si è allungato notevolmente rispetto ai precedenti anni. E’ un bene che sia così, sia per le mamme che per i bambini. Guardare con occhio ottimistico la situazione credo sia importante e non abbassare la guardia su questo fronte diviene a questo punto un fattore primario. La promozione è necessaria, certo, ma è vitale soprattutto il sostegno che influisce positivamente sulla motivazione. E qui arrivo al punto critico.

Le madri sono spesso sole a gestire i loro numerosi problemi. In tempi atavici la donna era gravata, indubbiamente, da grandi responsabilità ed impegni (la casa, l’allevamento della prole, ecc.) ma l’allattamento era primario fra questi e faceva parte di un naturale svolgersi delle cose: la “regina del focolare” di antica memoria era, appunto, regina, datrice di vita e di ordine all’interno della famiglia, punto di riferimento per tutti. Il numero di figli era alto ed i primi, i più grandi, regolarmente davano un aiuto in casa sia per ciò che attiene alla manutenzione generale, sia per ciò che riguarda le cure parentali nei confronti dei più piccoli. Donna come manager, dunque, ma all’interno della casa dove le sue forze ed il suo impegno erano erogati in esclusiva.

L’evoluzione della società ha portato modificazioni sostanziali (e non solo apparenti) a questo quadro: il numero di figli è sceso drasticamente, le famiglie allargate (più generazioni conviventi) sono poche o sono sparite, le donne iniziano a pensare di avere un figlio sempre più tardi, l’attività lavorativa extrafamiliare spesso (anzi: regolarmente) porta via molto tempo ed è divenuta irrinunciabile per motivi economici, la protezione sociale in termini di concessioni alla donna che allatta è divenuta sempre meno efficiente (e spesso è assente), la sicurezza dei contratti di lavoro è labile e condizionata alla disponibilità di tempo, i nonni (che molte volte sono l’unico soccorso) tendono ad avere un’età media sempre più alta e spesso lavorano a loro volta, i falsi bisogni (cose alle quali si può facilmente rinunciare) sono spacciati come reali dai media e dal marketing, la spinta che viene esercitata sul versante nutrizione naturale (i bambini allattati al seno sono più belli e più intelligenti, non allattare al seno comporta danni futuri nella crescita, ecc.) è a volte estremamente pressante …..troppi fattori che con l’allattamento contrastano in modo più o meno forte sia sul versante pratico (tempo e voglia) sia su quello emotivo (“Se non lo faccio ci saranno danni”).

A fronte di queste variabili accade che la donna veda la gravidanza, il parto e l’allattamento con un occhio lievemente più preoccupato di quanto avveniva in tempi passati: la sensazione di gloria (non è un termine a caso) che da il generare vita viene offuscata e la domanda “Ce la farò…?” diventa sempre più primaria e pressante.

A questo punto due elementi entrano in gioco: la MOTIVAZIONE ad allattare e il SOSTEGNO una volta che il bambino sia nato e sia quindi necessario garantire la montata ed una regolare produzione di latte.

Ho tentato, sulla base delle mie osservazioni pratiche (dato che mi occupo precipuamente di allattamento e nutrizione infantile) un’analisi di questi due elementi per capire come siano interconnessi. Le percentuali (ovviamente arrotondate) derivano dalla popolazione di donne che ho potuto osservare.

1)    Una forte motivazione in presenza di buona autostima (35%) può fare a meno del sostegno: la donna è capace di auto valutare in modo obiettivo il suo operato ed è in grado di adattarsi alle esigenze senza bisogno di incoraggiamenti e conferme da parte di chi la circonda, siano essi estranei, media, parenti o amici. Le eventuali piccole difficoltà iniziali vengono superate con la consapevolezza di essere in grado di affrontarle.

2)    Una forte motivazione in presenza di una bassa autostima (40%) ha necessariamente bisogno di sostegno ed in questo caso diviene importante sottolineare vantaggi e svantaggi e fornire un aiuto pratico non solo sul “come fare” ma anche, passo dopo passo, sull’evidenziare progressi e abilità acquisite in modo da influire positivamente sull’immagine di efficienza che la donna dovrebbe avere di se stessa. In questo caso l’ascolto, l’empatia e il suggerimento di strategie sul come rendere più semplici e naturali le cose divengono le armi più efficienti. Sono da tenere in massima considerazione le interferenze apportate dalle numerose “voci” sul come e cosa fare che circondano la donna e che in totale buona fede, lungi dall’aiutarla, la mandano in confusione. L’attenzione va posta a che il punto di riferimento in merito a tecniche, significati e valutazione dell’efficienza sia rappresentato da una sola persona di fiducia, auspicabilmente una donna che abbia con successo allattato a sua volta (ad es. peer counselor)

3)    Una debole motivazione in presenza di buona autostima (20%) rende il sostegno complesso: l’azione si deve svolgere su un fronte che oppone resistenze ed eccezioni. Se manca la vis a tergo bisogna generarla mediante la semplificazione delle procedure (la donna constata che è fattibile e  gestibile) e la sottolineatura dei successi man mano che questi si verificano. In questa ipotesi occorre anche porre attenzione all’andamento dell’allattamento nel suo complesso, dato che la donna (già in partenza scettica) potrebbe vedere avvalorate le sue motivazioni a non allattare da ogni piccola difficoltà. In questo caso la figura di riferimento dovrebbe essere un medico (che abbia competenza in allattamento ed abbia un approccio quanto più pragmatico possibile) o un’ostetrica (con le medesime caratteristiche), figure sanitarie che molto più di peer counselors  possono rivestire un’immagine di attendibilità e, soprattutto, controllo su quanto accade. La durata dell’allattamento tende comunque ad essere più breve rispetto alle altre categorie.

4)    Una debole motivazione in presenza di scarsa autostima (5%) rappresenta il caso più complicato. Spesso infatti è la scarsa autostima che condiziona la motivazione e quindi si sfocia in un ambito in cui il sostegno acquisisce connotazioni di tipo psicologico e non più soltanto di tecnica o incoraggiamento o valutazione dei risultati. La donna parte già con l’idea che non ce la farà ed ogni piccolo ritardo, ogni difficoltà, ogni interferenza la faranno immediatamente rifugiare nel conforto dell’allattamento artificiale, cosa che le da certamente una maggior sensazione di controllo sulle razioni e sul benessere del bambino. L’attenzione maggiore dovrebbe essere posta non solo a semplificare le procedure ma anche e soprattutto a lasciare alla donna una parte delle decisioni sul come gestire l’allattamento pur rimanendo disponibili a correggere eventuali incongruità: la constatazione di eventuali buoni risultati, che ella attribuisce a se stessa, possono influire positivamente sull’autostima. Non sempre, infatti, le donne che fanno parte di questa categoria sono disposte ad affidarsi a regole troppo rigide (“Non ce la faccio…”) o a valutazioni obiettive della situazione (ad esempio pianti continui di incerta interpretazione). Il sostegno dovrebbe essere erogato da una figura sanitaria canonica (medico o ostetrica) imparziale e non coinvolta. L’empatia certamente è un elemento fondamentale ma è molto più importante che venga incarnata la figura di chi si assume direttamente una parte della responsabilità di come il bambino reagisce (e per fare questo non basta dire “Tieni duro” ma occorre fornire metodiche e soluzioni con discrezione e lasciando che la donna abbia la sensazione di essere autonoma e non “incastrata” in un ruolo). Spesso il solo conforto di non essere unici depositari del benessere del bambino fa migliorare le cose. Si tratta comunque dei casi in cui più frequentemente l’allattamento diviene misto, dato che la quota di latte artificiale erogata in aggiunta pacifica maggiormente il bambino, allunga le pause e rasserena la donna in ordine alla congruità dell’alimentazione nel suo complesso. Ho comunque sempre considerato un allattamento misto meglio di un non allattamento.

 

Le figure di sostegno, dunque, sono importanti ma occorre anche vedere quali sono quelle più adatte ad ogni situazione. Le peer counselor, a mio giudizio, sono le migliori anche perché fanno entrare in gioco due fattori: il primo è che, avendo allattato a loro volta, comunicano la loro esperienza diretta e non teorica; il secondo è che fanno leva sulla solidarietà femminile nel suo complesso, cosa che aiuta veramente molto. L’ascolto, la vicinanza, la condivisione dell’esperienza sono fattori cruciali nell’avverarsi di un rapporto che, più che tecnico, diviene di amicizia e confidenza (specie se è posto in essere da volontari…un po’ meno quando c’è una forma di pagamento). La condizione che personalmente considero importante per l’efficienza di questa figura è che non sfoci nel tecnico in senso stretto (valutazione dello stato del bambino, decisioni sull’opportunità di intervenire o meno con presidi medici, interferenze su decisioni mediche, ecc.): il fatto di aver allattato e di possedere delle mammelle non sono condizioni sufficienti per poter avere un quadro obiettivo di una determinata (e magari minacciosa) situazione e sostituirsi ad una figura più competente. Non si è cardiologi solo per il fatto di possedere un cuore.

Il medico e l’ostetrica hanno un ruolo più tecnico e certamente, in relazione alla rassicurazione sulle condizioni generali del bambino, possono avere, agli occhi di una donna con dei dubbi, una maggior presa ed attendibilità. Diviene più cruciale, però, stare attenti al COME si promuove l’allattamento, proprio perché si tratta di figure sanitarie: Se si continua sul versante “Allatta perché se no tuo figlio sarà debole, meno intelligente, probabilmente obeso ed iperteso” genera un circolo di ansia/incertezze che non giova ne alla montata ne al proseguimento dell’allattamento.

Questo è ciò che penso e che la mia esperienza mi ha insegnato: spero possa essere utile a qualcuno o che possa generare una discussione costruttiva attraverso la condivisione.

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