Soffi cardiaci nei neonati: meglio un controllo in più che uno in meno

 

8/7/2013. immagine_2E’ di pochi giorni fa un episodio occorso presso il mio Reparto, all’Aurelia Hospital, che mi ha spinto a scrivere questo piccolo articolo in merito all’importanza che riveste un’accurata osservazione ed una corretta valutazione dei neonati con soffio cardiaco. Nei corsi di preparazione al parto che tengo qui in Ospedale, tra i vari argomenti che affronto, c’è anche quello dell’adattamento cardio-respiratorio alla vita extrauterina. Tengo sempre a sottolineare che l’evenienza di un soffio quasi sempre rappresenta soltanto un passo iniziale verso un assestamento nelle pressioni delle varie camere cardiache in conseguenza dell’inizio della respirazione autonoma e quindi che questo reperto tende a scomparire o comunque ad attenuarsi col tempo (pochi giorni). Tenendo presente che alcuni forami fisiologici nel feto non si chiudono immediatamente dopo il parto (forame ovale, dotto di Botallo, piccoli difetti interventricolari), sentire rumori all’ascoltazione del cuore è nella stragrande maggioranza dei casi fisiologico. Accade che col passare dei giorni la stabilizzazione delle pressioni all’interno delle camere cardiache dovuta alla sempre migliore dinamica respiratoria, determina una defunzionalizzazione dei forami i quali, in tempi relativamente brevi, si chiudono definitivamente. L’adattamento, quindi, comporta la comparsa del soffio fisiologico (che tipicamente ha un timbro dolce, è udibile al centrum cordis, è sistolico e non supera 1-2/6 di intensità) entro la prima giornata di vita ed una sua pressochè completa scomparsa entro la terza/quarta. Per mia esperienza, però, è opportuno fare delle distinzioni che si basano in primo luogo sulla negatività della sintomatologia generale (assenza di segni da alterata perfusione ed ossigenazione come cianosi, inerzia, facile stancabilità, desaturazioni, ecc.) ma anche sulla intensità del soffio (che non dovrebbe mai superare 1/6 dopo la prima giornata), sul suo timbro e sulla sua persistenza nel tempo. Faccio un esempio: un soffio presente in un bambino apparentemente asintomatico e con buoni parametri, che si nutre al seno in modo efficiente ed è roseo, non è detto che sia innocente se la sua intensità in seconda giornata è ancora superiore a 2/6. Occorre infatti ricordare che la negatività della sintomatologia non è un indice certo di assenza di cardiopatia così come dal solo soffio non si può risalire alla causa. L’episodio di cui parlavo all’inizio dell’articolo configura esattamente questa evenienza .

Una nostra bambina, nata da parto eutocico a termine di gravidanza, ha presentato un piccolo soffio già in prima giornata. L’adattamento cardio respiratorio è stato apparentemente normale entro le prime 48 ore. Il calo ponderale è stato fisiologico, la suzione valida, il tono muscolare e la reattività sono sempre state nella norma ed i parametri vitali sempre entro i limiti (saturazione di ossigeno sempre superiore al 98%, assenza di desaturazioni anche durante la suzione, frequenza cardiaca compresa tra 100 e 140 battiti, frequenza respiratoria compresa tra 48 e 54 atti/min). Unica anomalia è stata la mancata regressione del soffio che però, in assenza di ripercussioni emodinamiche (benessere apparente della piccola), fino alla 48° ora non è stato attribuito a patologia (di norma, come detto, si tratta di soffi funzionali e non organici….ad esempio forame ovale o dotto pervio o piccoli difetti interventricolari). Unico elemento sospetto, a mio giudizio, è stato il timbro del soffio medesimo che (oltre ad essere lievemente aumentato di intensità (circa 2-3/6) era divenuto aspro. Pur essendo di fronte ad una bambina apparentemente sana la mia abitudine a non trascurare i particolari mi ha indotto al sospetto che si fosse di fronte ad una cardiopatia congenita compensata per cui ho deciso di far effettuare un ecocardiogramma prima della dimissione. Tengo a precisare, ripetendomi una volta ancora, che la bambina era perfettamente sana dal punto di vista generale (benessere) e cardiorespiratorio (normale saturazione di ossigeno, frequenza cardiaca e frequenza respiratoria): questo avrebbe potuto significare (con l’ottica dell’attuale atteggiamento risparmioso imposto dalle amministrazioni regionali) effettuare un ecocardiogramma “inutile”. Ho affrontato il rischio di “sprecare risorse” ed ho disposto per l’esame.

Bene: si trattava di una stenosi della valvola polmonare con un gradiente pressorio notevole (circa 60 mmHg), tanto che la bambina è stata trasferita in tempi rapidi (per quel che consente il reperimento di un posto in terapia intensiva cardiologica neonatale) ed operata il giorno stesso del trasferimento (valvuloplastica polmonare con palloncino).

Cosa sarebbe accaduto se si fosse male interpretato il soffio giudicandolo fisiologico sulla base della sola sintomatologia generale? Semplicemente, col tempo (da poche settimane ad alcuni mesi) il ventricolo destro si sarebbe sfiancato per lo sforzo di spingere sangue attraverso la valvola stenotica e si sarebbe verificato uno scompenso cardiaco destro.

Sono felice del risultato ottenuto (la bambina ora non ha alcun problema perchè il suo piccolo cuore non ha subìto danni da sforzo) e nel contempo sono sempre più convinto che:

1) La clinica ha un valore importante ma non assoluto in caso di soffio neonatale

2) Effettuare un controllo ecocardiografico in caso di soffio sospetto (timbro aspro ed intensità superiore a 2/6 dopo la seconda giornata) anche se c’è apparente benessere è fondamentale per la diagnosi di cardiopatie silenti ma potenzialmente minacciose

3) Limitare, a scopo di risparmio, le prestazioni diagnostiche può esporre a problemi seri: in materia di salute gli investimenti NON DOVREBBERO MAI ESSERE LESINATI. Meglio un esame in più che uno in meno, a patto che si segua un criterio clinico razionale e che la valutazione preliminare del soggetto sia completa e logica.

Un saluto e alla prossima

 

3 pensieri su “Soffi cardiaci nei neonati: meglio un controllo in più che uno in meno

  1. Gentile dottore, di recente si è parlato molto di quelle patologie cardiache silenti che avrebbero provocato la morte di atleti professionisti o messo seriamente a rischio la loro carriera (penso ad esempio al calciatore Cassano).
    Le domando: quali sono le possibilità di intercettare simili problemi in tenera età? Non sarebbe bene che i pediatri curanti prevedano sempre per i loro piccoli assistiti un accurato screening cardiologico a prescindere dall’effettiva necessità?
    Cordialmente,

    Armando

    • Mi trova d’accordo in merito agli screening ma la fattibilità, a livello universale, è estremamente costosa. Inoltre non tutto è visibile e non tutto è francamente patologico se non in condizioni particolari. Lei ha portato l’esempio di Cassano: il suo difetto è comunissimo (forame ovale pervio) e generalmente si chiude entro i primissimi mesi (o al massimo anni) di vita senza apportare alcun tipo di scompenso emodinamico. Il problema, nel caso di Cassano, è l’agonismo che aumenta i flussi e rende possibile, ad esempio, la riapertura di un difetto chiuso o scarsamente funzionale. Questo può far trasformare un difetto innocente in una condizione di alto rischio. Come vede, quindi, fare una reale previsione in assenza di sintomatologia è difficile. Quel che si deve invece fare è una valutazione attenta di tipo cardiocircolatorio in chi è candidato a sforzi, anche in assenza di segni clinici. Per tutti gli altri è importante un monitoraggio da parte dei curanti: non parlo soltanto di controlli se si rilevano soffi ma anche se ci sono rilievi non direttamente attribuibili a difetti cardiaci (stancabilità, difetto di crescita o simili).

      • Comprendo le ragioni del costo elevato per la sanità pubblica, ma comparato ai costi/benefici di un esame ormai pressoché istituzionalizzato come l’ecografia delle anche, non potrebbe lo screening cardiologico in tenera età avere ricadute più significative in termini di salute pubblica? Ovviamente le chiedo ciò senza conoscere gravità e incidenza delle patologie che l’eco delle anche può intercettare…

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