Abituiamo i nostri figli alla vita: amorevole fermezza e rispetto delle regole

 

Le prime regole si succhiano insieme al latte della mamma, con la consapevolezza che saranno altrettanto salutari

Mi accorgo con una certa preoccupazione che i ragazzi non sono pronti agli sviluppi futuri della nostra società. L’altro giorno ne parlavo con mio figlio Alessandro (nella foto…appena nato), ventunenne universitario, che viene da un’esperienza familiare (la nostra)  fatta di senso di responsabilità e di riconoscimento del valore del lavoro e della qualificazione come dato irrinunciabile per la crescita sia personale che sociale. Nel discorso che si dipanava, man mano prendevano forma nella mia mente alcune immagini piuttosto nette, suggerite proprio dalle considerazioni che Alessandro faceva rispetto ai coetanei (trepidi, ansiosi e sempre in cerca di rassicurazioni o giustificazioni, poco inclini al sacrificio e spesso dediti alla conquista di favore e simpatia da parte di insegnanti e professori attraverso un’opera di “lisciamento”), ai più piccoli (attuali 12-13enni o meno, pretenziosi, sgarbati e viziati) ed ai leggermente più grandi (attuali trentenni, sottoccupati o disoccupati, conviventi coi genitori e rassegnati). Ne è emerso un quadro che coincide con quello che io stesso, osservando l’evolversi di molte famiglie che seguo (certamente non tutte) e che conosco, mi sono fatto: concessività ed iperprotezione nei confronti della prole.

Madri trepide e sempre nel dubbio di sbagliare nel loro rapporto coi figli, danno origine a situazioni talora paradossali e diseducative. Padri incerti e spesso in disaccordo con le compagne sui metodi educativi, sfuggono alle loro responsabilità rifugiandosi in un comodo atteggiamento di passività (e spesso questo cortocircuito getta le basi per separazioni e divorzi). I figli, che avrebbero bisogno di indirizzi (spesso da imporre più che da proporre….e con fatica), non ne ottengono se non falsati da questo atteggiamento permissivo e giustificativo.

Qualcuno dirà (di quei pochi che leggeranno queste considerazioni) che sto esagerando e forse che sono rigido come educatore. Ebbene non credo che il mio modo di fare apparentemente spartano sia duro: semplicemente tiene conto del ruolo che un genitore deve avere per preparare i figli all’autonomia ed alla autodeterminazione in una società ben poco generosa e spesso proteiforme in quanto a proposte/concessioni.

Nessuno sembra rendersi conto che l’educazione inizia nel momento stesso in cui il bambino nasce. Spesso ai genitori sottolineo una constatazione apparentemente scontata ma raramente presa in considerazione: il mondo e la società esistevano già prima della nascita del nuovo essere, quindi chi deve adattarsi non è il mondo ma il soggetto che vi è entrato. Basterebbe soltanto questa presa di coscienza per indirizzare le mosse di padri e madri verso la giusta direzione: orari, ritmi di vita, distinzione coerente e costante fra ciò che si può e ciò che non si può fare, mangiare in un certo modo, separare il gioco dall’impegno…..e poi, crescendo, rispetto verso i più grandi e verso se stessi, capacità di autovalutazione obiettiva (e quindi riconoscere i propri errori), coraggio nel superare le sconfitte (che debbono esserci: non illudiamoci di poter evitare tutte le amarezze ai nostri figli dato che sono proprio queste che mettono alla prova e correggono il tiro nell’operare scelte e nel rialzarsi dopo una caduta), consapevolezza dei propri limiti (l’eccesso di lodi in famiglia e di premi anche “di consolazione” non fornirà mai ad un giovane la misura certa delle proprie capacità, rendendolo poi deluso e depresso di fronte a valutazioni sociali non altrettanto entusiastiche). Potrei continuare molto a lungo ma quel che mi preme (e mi preoccupa) è di far capire che dire sempre di si, non resistere alla tentazione di giustificare sempre e comunque, sostituirsi nelle scelte, non lasciare che vi siano piccole delusioni o comunque operare in modo che non si sappia trovare un modo per superarle autonomamente, sono posizioni DI COMODO e non DI UTILITA’. Assumersi la responsabilità di educare significa talvolta resistere alla tentazione di andare verso il “male minore” e non verso “la migliore soluzione”: dire “no”, essere fermi e coerenti, costa sia in termini emotivi che dal punto di vista pratico (capricci, grane) ma è certamente più formativo. Non ricorrere, ad esempio a scuola, a segnalazioni di supposte angherie degli insegnanti (che spesso tentano solo di ottenere da bambini riottosi un minimo di attenzione e collaborazione), significa far si che le sconfitte (brutti voti o simili) siano riconosciute dal bambino/ragazzo e superate. Lavorare da genitori implica accordo e coerenza fra i membri della famiglia incaricati dell’educazione: padri che proibiscono una cosa, delegittimati da una madre trepida che concede quella stessa cosa (o viceversa, s’intenda) CREANO RAGAZZI DISORIENTATI sempre in cerca di soluzioni di comodo, spesso non le migliori. Infine: l’incapacità di imporre regole (che devono esserci e non troppo differenti da quelle che si ritroveranno nella vita adulta) farà si di creare l’illusione che le regole stesse non esistono o che comunque possono essere aggirate. Vivere nella società significa essere responsabili NON SOLO DI SE STESSI (individualismo) ma anche degli altri: se non si lavora bene come genitori si otterranno individui che non faranno male solo a se stessi ma anche a tutti coloro che vi avranno a che fare. Meditare non fa mai male, su questi temi.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>