Riflessioni sull’allattamento (al seno)

 
renatolucchini

Renato Lucchini
Ricercatore “Sapienza” – Università di Roma
UOC di Neonatologia, Patologia e Terapia Intensiva Neonatale
Azienda Policlinico Umberto I

Il 20 Maggio 2014 il Prof. Renato Lucchini ha scritto un significativo editoriale, dal titolo “Riflessioni sull’allattamento”, nel quale esprimeva alcune perplessità riguardo all’imprecisione nella raccolta dati sui tassi di allattamento al seno in Italia ed al fatto che nonostante gli sforzi che si compiono per promuovere la metodica non si ottengano risultati apprezzabili. L’articolo originale è al seguente link: http://allattamento.sip.it/editoriali/riflessioni-sullallattamento/

Qui ne riporterò soltanto alcuni stralci salienti:

Lucchini: “”………I tassi di allattamento al seno nella nostra popolazione sono certamente al di sotto delle aspettative, a dispetto dei tanti benefici comprovati da ampia letteratura, e nonostante i tanti sforzi fatti a vari livelli. In realtà stiamo parlando di impressioni, perché il primo dato da rilevare è la mancanza di un serio monitoraggio del fenomeno, monitoraggio senza il quale non è e non sarà possibile valutare l’efficacia e la persistenza nel tempo degli effetti positivi di qualunque intervento…….l’uso del latte “artificiale” è entrato nell’immaginario collettivo come una pratica “normale” (per non parlare di ciucci e biberon). Questo concetto riguarda tutti, le mamme, i papà, i familiari, ma anche gran parte del personale sanitario che si occupa dell’assistenza a madre e bambino. In un recente corso di formazione sono rimasto colpito dalla reazione scandalizzata di alcuni partecipanti quando si è paragonato l’uso del latte artificiale a quello di un farmaco…….la libertà di scelta non va confusa con la cattiva informazione, e soprattutto nei primi periodi dopo il parto la cattiva informazione porta facilmente a difficoltà che possono compromettere in modo definitivo il successo dell’allattamento,  togliendo alla coppia madre-bambino una meravigliosa opportunità. Il latte artificiale è associato ad una immagine di progresso…….Faremmo più a meno dei mezzi di trasporto moderni, dall’automobile all’aereo, che ci consentono spostamenti tanto veloci? O del telefonino, di Internet, che ci permettono di comunicare in modo facile, ovunque, con molte più persone?……..Ma questo non significa che se uso l’auto non debba più usare le gambe per una piacevole passeggiata (magari in riva al mare), o che con il computer non ho più bisogno di incontrare le persone, guardarle, toccarle, uscire insieme………E allora non ci resta che rinnovare i nostri sforzi, a partire dall’informazione, proiettata anche a contesti più ampi di quelli strettamente legati al momento della maternità  e del parto, ma orientata ad un cambiamento culturale trasversale.”"

Interessante, no? Molto di buonsenso ma, non appena finito di leggerlo, ho avuto immediatamente una folgorazione che mi è pervenuta dalla mia esperienza quotidiana e diuturna a contatto con donne che allattano e che sono (ma guarda) alle prese anche con altre cose della vita normale (altri figli, il lavoro, il marito, i conti da pagare, la solitudine fisica a psichica, ecc.). Al che ho inviato un commento a questo editoriale per, più che altro, precisare alcune piccole cose con lo scopo di allontanarsi dall’utopia e di scendere coi piedi per terra. Qui di seguito c’è il mio commento integrale:

Tasca: “”Gentile dott. Lucchini, mi inserisco per qualche breve considerazione (che spero opportuna, a completamento) in merito ad alcune notazioni da lei fatte in questo interessante editoriale che peraltro condivido in ogni sua parte. Le riflessioni non riguardano i contenuti, che sono di grande buonsenso ed ampiamente condivisibili, ma il contesto.
Lei dice:”…….questo non significa che se uso l’auto non debba più usare le gambe per una piacevole passeggiata o che con il computer non ho più bisogno di incontrare le persone, guardarle, toccarle, uscire insieme”. Concordo senza remore ma va considerato che in un CONTESTO SOCIALE in cui sia NECESSARIO andare in auto o usare la telematica si debba, anche ob torto collo, inchinarsi all’esigenza. Voglio dire che le tutele alle nutrici, puerpere, gravide sono sempre più carenti e sempre più le donne sono abbastanza sole a gestire cumuli di problemi sia pratici (il lavoro che incalza, il dirigente che minaccia licenziamenti, i contratti di lavoro che non si rinnovano, la ripresa di un lavoro stressante e con orari a volte incompatibili non solo con l’allattamento ma con la serenità in generale) sia emotivi (sonno carente, fatica psicologica, tensioni più o meno marcate sia intra che extrafamiliari). Qui non si parla di uso del latte artificiale come sinonimo di affrancamento dalla “schiavitù” dell’allattamento al seno a beneficio, che so, di una carriera o di una gratificazione professionale/umana qualsiasi: qui si parla (ovviamente non in tutti i casi ma comunque in una grande maggioranza) di conservare il lavoro, di rendere compatibile la cura del neonato con le mille altre esigenze che LA SOCIETA’ (così come è allo stato attuale) impone. Il ritorno a tempi bucolici in cui la donna doveva fare la mamma e la donna di casa è improponibile non solo perchè la donna è affrancata da costrizioni medievali di vecchia memoria (e badi, solo apparentemente lo si riconosce viste le discrepanze di trattamento anche in ambito professionale) ma soprattutto perchè la società la protegge sempre di meno (ricordiamoci che anche la natalità sta scemando in modo allarmante e questo la dice lunga). La donna VUOLE allattare: il suo cruccio è di non poterlo fare serenamente e per tutto il tempo che gradirebbe. La mia, come avrà sicuramente capito, non è certamente una difesa del latte artificiale: semplicemente è una constatazione e credo vada annoverata fra le tante variabili che condizionano l’andamento di un buon allattamento al seno. In merito poi all’immaginario comune in cui biberon e ciucci sono una norma, chiediamoci seriamente quanto incida il battage che le case produttrici di latti e prodotti per l’infanzia fanno a tutti i livelli (sanitari e domestici ed in modo più o meno occulto). Vogliamo iniziare noi pediatri per primi a far passare il messaggio che il latte artificiale vada considerato un’emergenza e non una norma? Bene: allora iniziamo a sganciare congressi, eventi e quant’altro (non specifico perchè non è necessario) dal dominio delle case produttrici di alimenti per l’infanzia che qualcosa in cambio ottengono sempre. Iniziamo ad adoperare il latte artificiale quando (e solo se) c’è reale esigenza, nel giusto modo, con le giuste dosi. Iniziamo a renderci conto che non esiste un latte artificiale perfetto e che usarne uno significa praticamente divezzare il neonato (con tutto ciò che questo comporta). L’informazione carente può essere un problema all’inizio: scoramenti e ansie possono essere superati e si superano ma… poi la donna deve fare i conti con la DURATA dell’allattamento. Ottenere la montata ed una regolarizzazione del flusso di latte è relativamente facile. Quello che è difficile (sempre più) è prolungare l’allattamento per tempi fisiologici. La mia modesta esperienza mi ha insegnato che questo è un problema superabile con una razionalizzazione dell’allattamento stesso (e con questo intendo dare un ritmo prevedibile alle poppate, cercare di dare una durata abbastanza gestibile agli attacchi, ecc.) evitando poppate a richiesta ed illimitate dalle quali, una volta abituato il bambino nei primissimi mesi, è difficile sganciarsi. Questo, per me, è corretta informazione. Mi scuso per essermi dilungato e ringrazio per l’eventuale attenzione.”" (S. Tasca)

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