L’inserimento al nido e alla materna: crescita, non distacco

 

A toddler holding his mother's hand as he goes to daycare.13/7/2013. E’ di pochissimo tempo fa una richiesta di “aiuto” pervenutami da parte di una mamma (ma è una delle tante) in merito al comportamento da tenere di fronte al proprio bambino, di tre anni, al suo primo impatto con la scuola materna. Il piccolo piange, non partecipa alle attività, è regredito dal punto di vista della continenza (rendendo di nuovo necessario il pannolino), resiste all’allontanarsi della mamma, e genera, in quest’ultima, seri dubbi sul come comportarsi per accompagnare in modo non traumatico il figlio in questa nuova situazione. Nel mio libro “Per i bambini, con i bambini” ( http://www.ibs.it/code/9788890121357/tasca-stefano/per-i-bambini-con.html )ho dedicato un intero e dettagliato capitolo al tema dello stress da inserimento ma qui farò una breve sintesi di quanto, in quello scritto, ho condensato della mia esperienza in merito.

Tra la nascita e i 18 mesi il bambino inizia un’operazione di riconoscimento della propria persona come individuo. Questo porta dapprima a formare un concetto di “se”, successivamente dell’”altro da se” ed infine quello della interazione sociale. Queste tre tappe, uguali per tutti seppure con tempi diversi, dovrebbero essere lasciate alla loro evoluzione spontanea, senza interferenze e senza restrizioni particolari se non quelle dettate dalla proposta e dalla “richiesta di rispetto” delle regole comuni. L’ingresso al nido, quindi, è un’occasione di crescita perché il bambino ha la possibilità di sperimentare se stesso come individuo inserito all’interno di una piccola società nella quale dovrà imparare a trovare figure di riferimento differenti da quelle usuali e domestiche (padre, madre, nonni, eventuali tate, ecc.). Le mamme però, noto con sempre maggiore frequenza, hanno un contatto ed una unione coi propri figli talmente forti che a volte si frappongono a questi naturali momenti di iniziale contatto con la società: sempre più spesso lo stress da inserimento non riguarda i bambini ma loro stesse (sensi di colpa di fronte al pianto, incapacità di gestire la tensione, precipitose retromarce sui modi e i tempi di inserimento e quant’altro).

L’ansia materna si trasmette, purtroppo, a dispetto dei tentativi (talora eroici ma inutili) di mascherarla. L’ansia è una di quelle situazioni che inconsciamente trabocca da gestualità, tono di voce, modo di muoversi,, modo di guardare, ecc…. tutte cose che un bambino piccolo capta ed incorpora meglio di qualsiasi parola di conforto. E’ calcolato che nella comunicazione umana le parole contano soltanto per circa il 7%: il resto è linguaggio del corpo. Risulta dunque ovvio che se il bambino è lasciato all’asilo da una madre trepida, che esita ad andarsene, che attende inutilmente l’estinzione del pianto per allontanarsi, che a volte piange a sua volta, il gradimento del piccolo non sarà sicuramente massimale. Non solo: il ritornare sui propri passi o il tentare e poi rimandare (assecondando quindi la richiesta di “non rimanere all’asilo” che il bambino fa piangendo) rinforza i pianti e le proteste generando un riflesso condizionato. Se il bambino sa che piangendo e protestando ottiene ciò che vuole, è naturale che reiteri il suo comportamento per avere quella risposta….ma non otterrà altro se non un prolungamento della sua permanenza in un limbo educativo che, alla lunga, genera possibili disturbi di inserimento sociale, mentre dal suo canto la madre non avrà altro che un momentaneo sollievo dai suoi sensi di colpa che però rimarranno tali ogni volta che tenterà di riportare la situazione nei suoi naturali confini. Insomma inserire un bambino al nido è contemporaneo alla presa di coscienza da parte della madre che suo figlio è un individuo e non un pezzo di se stessa che si separa. In questo senso dunque il rito di passaggio ha una doppia valenza: educa il bambino alla socialità e la madre al ruolo di accompagnatrice (e non più di unico sostegno).

E allora? Che si fa?

1) Si deve semplicemente prendere coscienza che si tratta di un momento di crescita importante; rimandarlo non serve a nulla

2) Si deve capire (perché succede sempre) che le proteste sono direttamente proporzionali alla propria titubanza: tendono ad intensificarsi e a durare nel tempo se chi accompagna e va a riprendere si fa vedere angosciato

3) Sorridere sempre ed essere sereni (e determinati) nel portare il bambino all’asilo, anche quando questi sembra essere disperato o triste: non significa ignorare i suoi sentimenti….semplicemente serve a non rinforzare la sua sensazione di pericolo

4) Quando si va a riprendere il bambino occorre non trasmettere la propria sensazione di “sollievo” per la fine di una tortura: abbracciare più forte, stringere, sbaciucchiare corrispondono alla trasmissione, da madre a figlio, della “fine di un pericolo”. La naturalità del rivedersi deve stare nel comportamento sereno di chi semplicemente si rivede dopo una piccola assenza.

5) Parlare a casa di quanto fatto in asilo (vale per i bambini più grandicelli ovviamente) è utile e motivante: sempre con interesse e sempre lodando. Al bambino va data la sensazione che sta diventando grande quindi le sue opere e le sue azioni vanno rinforzate in questo senso

6) Mai parlare male o criticare o biasimare davanti al bambino le persone  che, nell’asilo, si occupano dei piccoli. Non sto dicendo di ignorare eventuali errori pedagogici (che vanno ovviamente segnalati a chi di dovere): semplicemente sto sottolineando il concetto prima espresso di comunicazione non verbale. Alle critiche spesso si associano gesti e toni di voce ed anche se le parole non sono comprensibili, il resto per un bambino anche molto piccolo lo è perfettamente. Occorre tenere presente che quelle persone sono le figure di riferimento del bambino quando è fuori casa: se vengono delegittimate il bambino stesso ne avrà paura e non fiducia.

7) Stabilire, davanti al bambino, cordiali rapporti con il personale (stretta di mano, sorrisi, scambio di battute come se si fosse in confidenza) al momento di lasciarlo. Perdere 5 minuti in chiacchiere allegre, includendo il piccolo, corrisponde ad un lasciapassare. “Se mamma si fida posso fidarmi anch’io”. Inoltre sarebbe importante che il bambino, durante questo scambio di parole e gesti, fosse accolto con serenità. In breve tempo il personale diverrà una estensione dell’ambito familiare.

Forza mamme: i figli non sono vostri ma del mondo. I genitori devono aiutare i figli a staccarsi e a muoversi, non a permanere legati e intrappolati.

 

2 pensieri su “L’inserimento al nido e alla materna: crescita, non distacco

  1. E’ anche vero che la qualità degli insegnanti è molto variabile, ed un genitore vi dovrebbe porestare molta attenzione. Ricordo l’esempio di mio figlio, inserito in un asilo nido in cui venne trattato male, passati tre giorni sembrava un automa, addirittura non guardava più nessuno negli occhi.
    Cambiammo asilo (nonostante le pressioni esterne), e fu la svolta. La passione, l’affetto e la preparazione delle nuove insegnanti trasformò letteralmente nostro figlio, che da quel momento iniziò un cammino bellissimo. Ogni tanto piagnucolava e diceva che non voleva andare, come è normale che fosse, mentre di là strillava disperato, di un pianto straziante, perché veniva trattato male.
    Finito il nido, il suo cammino è proseguito alla materna, senza alcun intoppo. Ogni tanto non avrebbe voglia di andare (come noi al lavoro del resto), ma poi si diverte. Tanto per dire che, evidentemente, non eravamo noi il problema.
    Con stima.
    Angelo

  2. Io ho portato francy ad un nido dove utilizzano il metodo montessoriano, le aspettative erano alte e non sono state deluse…è tutto un altro mondo! Paradossalmente il distacco è stato difficile da superare, non per lei…ma per me! Il consiglio mi è arrivato da una comunità online di mammaraccontati.it, è stato davvero provvidenziale, per fortuna adesso è molto più facile confrontarsi e si sanno molte più cose…per mia sorella con i suoi due (ormai grandi) all’epoca non era stato così semplice

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