La differenza tra “come” fare e “perchè” fare: una cosa da insegnare ai nostri figli

 
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Impariamo a guardare “fuori”: c’è sempre qualcosa di interessante da vedere

Ci troviamo in una situazione mondiale oggettivamente precaria e potenzialmente pericolosa. Lo sfruttamento dissennato delle risorse, il consumismo senza freni, l’illusione di essere eterni ed onnipotenti ci porterà presto a fare i conti con crisi inimmaginabili. Non sto facendo il profeta di sventure: la terra è un sistema chiuso e non consente di crescere all’infinito. Il sistema terra è progettato per reggersi su equilibri estremamente delicati in cui quel che è degradato obbligatoriamente deve riciclarsi in nuova materia secondo tempi a volte lunghissimi. Non possiamo continuare a consumare e basta. Di chi è figlio questo pensiero? A mio parere dell’ignoranza. Il pragmatismo consumistico ha portato a trascurare (se non ad ignorare volutamente) le conseguenze di ogni nostro atto produttivo: guadagnare, arricchirsi, produrre in modo esponenziale, hanno messo al primo posto tutti gli elementi tecnici lasciando in secondo piano il tempo di vivere e la possibilità di ragionare.

Le riforme politiche attuate qui in Italia per ciò che attiene alla cultura hanno trascurato in modo a mio parere vergognoso tutto ciò che riguarda la parte nobile dell’uomo: il suo potere di dare un senso a ciò che fa. Ormai il tecnico supera l’umanistico: si ricerca a tutti i costi il “saper fare” qualcosa marginalizzando ogni possibile apporto culturale necessario al capire se “fare” è davvero così cruciale o comunque se da questo “fare” derivino potenziali danni o, in casi frequenti, disastri.

Ma perchè un pediatra si mette a fare questi discorsi che hanno poco a che vedere con la medicina? Semplice: mi occupo di futuri adulti e le mie valutazioni non le faccio soltanto fermandomi all’aspetto fisico dei soggetti che vedo crescere ma anche (e direi soprattutto) proiettando nel futuro questi stessi soggetti per prefigurare una società “a venire” composta di individui che prima o poi, con le loro decisioni, influiranno sulla vita della società stessa.

Sempre più spesso sento dire, anche dai genitori, che ogni studio di tipo umanistico è inutile e fa perdere tempo: occorre, secondo questa nuova tendenza, avere subito competenze specifiche per mettersi rapidamente sul mercato. Questo mi spaventa perchè nessuno pensa al fatto che la specializzazione porta all’estinzione (lo insegna la storia della vita sulla terra). Se si sa fare una sola cosa (anche bene) mettersi sul mercato diviene più difficile. Avere competenze “a largo spettro”, invece, permette di riciclarsi più facilmente. Possedere cognizioni di storia diminuisce la possibilità di ripetere vecchi errori; avere elementi di filosofia consente di dare un senso alla propria vita attraverso il ragionamento e l’esercizio della preziosa arte del dubbio; conoscere latino e greco facilita i processi logici; saper apprezzare la letteratura e la poesia aiuta a capire che la razza umana (cito da “L’attimo fuggente”) è piena di passione e di voglia di comunicarla; conoscere l’arte fornisce i mezzi per apprezzare la bellezza in se, come categoria, e da la possibilità di lottare per difenderla….

Diamo ai nostri figli questo indirizzo: essere tecnici è utile ma essere umanisti è necessario. Insegnare loro a leggere, ad ascoltare musica, a formarsi delle opinioni personali, a lottare per difenderle, ad interfacciarsi con gli altri in modo diretto (e non mediato da mezzi artificiali ed artificiosi come quelli telematici che sono sacrosanti e utili ma non sostituiscono) non può che far bene.

 

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