Cucinare per il proprio bambino è un atto di amore…come e più che allattare al seno

 

pasta e ceciOttobre 2013. Da sempre insisto che i prodotti alimentari industriali per l’infanzia non sono migliori e più adeguati per una buona crescita dei nostri figli, rispetto ai prodotti freschi cucinati in casa. Non lo faccio per partito preso ma semplicemente perchè valuto (basandomi sulla loro composizione e confrontandola coi fabbisogni nelle varie fasi della crescita) la loro compatibilità con un corretto bilancio sia calorico tout court sia rispetto al contenuto in nutrienti…… e mi accorgo che non sono affatto ideali.

Da più parti si ripete che sono studiati specificamente, che sono più controllati, che provengono da allevamenti e colture straordinari, ecc.: in realtà non soddisfano assolutamente i fabbisogni, non abituano i bambini alla “tessitura” degli alimenti reali, non possiedono caratteristiche adeguate al passaggio cruciale tra alimentazione lattea ed alimentazione solida e soprattutto sono troppo ricchi in carboidrati semplici (che ho denunciato come fattori di “dipendenza” in un altro articolo di questo blog).

Si potrà dire che sono vaneggiamenti di un vecchio pediatra tradizionalista e scarsamente aperto alle innovazioni…ed invece sono soltanto avvertimenti di un professionista che da trenta anni non fa altro se non occuparsi di garantire il meglio ai bambini.

Questo articolo lo sto meditando da molto tempo ma l’occasione per scriverlo (finalmente) mi è venuta quando ho trovato, nelle mie ricerche bibliografiche, un articolo coraggioso (mettersi in contrasto con le multinazionali alimentari è rischioso) su Archives of Disease in Childhood datato Ottobre 2013 (qualche giorno fa….quindi recentissimo). Il titolo? “Contenuto nutrizionale dei cibi commerciali per lo svezzamento in Inghilterra”.  In questo studio, molto accurato, vengono testati 479 prodotti alimentari per lo svezzamento (pappe, latti in polvere, farine, liofilizzati, ecc.) valutandone la compatibilità con le richieste di bambini dai 4 mesi in poi in relazione al contenuto energetico, proteico, glicidico, lipidico, zuccherino e come fonti di ferro, sodio e calcio. Non sto a descrivere le procedure utilizzate ma mi limiterò, per questioni di spazio, alle conclusioni che traduco letteralmente: “Il mercato dei cibi per l’infanzia in Inghilterra è fatto di cibi dolci, soffici e al cucchiaio (pappe pronte) indirizzati ad età superiori o uguali ai 4 mesi. La maggioranza dei prodotti ha contenuto energetico simile a quello del latte di donna e non soddisfa quindi lo scopo di aumentare la densità in nutrienti (per unità di massa) e la diversità di sapore e tessitura (granulosità) richiesti per una dieta infantile corretta. Gli unici alimenti ad essere energy-dense sono i finger foods ma sono eccessivamente ricchi in zuccheri semplici”.  Abbastanza chiaro, come concetto.

Ma non basta, dato che approfondendo la ricerca mi sono imbattuto in un altro articolo, stavolta (e stranamente) americano, pubblicato sempre da pochi giorni su American Journal of Human Biology dal titolo: “Troppa roba buona: l’evoluzione prospettica della fortificazione dei latti artificiali e i suoi effetti sulla salute infantile”. Prima di parlare del contenuto di questo studio faccio una piccola premessa: qui in Italia sembra che la quantità di ferro nel latte sia cruciale per la sopravvivenza. Si cita come prezioso contributo il fatto che i latti industriali (sia liquidi che in polvere) contengano quantità enormi di ferro rispetto ai corrispondenti prodotti naturali non elaborati. Ebbene in questo studio si sottolinea come un eccesso di ferro (si noti che negli alimenti per bambini le quantità per litro sono molto alte, nell’illusione di fare del bene…e nella certezza di aumentarne il prezzo in virtù di questa “ricchezza nutrizionale”), specie nel delicato periodo di transizione tra alimentazione esclusivamente lattea ed alimentazione solida, possa portare dei danni seri in termini di possibile virulentazione di batteri patogeni che di questo eccesso di ferro fanno la loro forza (il ferro è essenziale per la crescita dei batteri ed innumerevoli studi, negli anni, hanno dimostrato che influisce oltre che sulla replicazione anche sulla patogenicità). Dove voglio arrivare? Semplice: vorrei far capire che:

  • I cibi freschi cucinati in casa sono, senza paragone possibile, gli unici che garantiscono (se opportunamente combinati in una dieta complessiva che tenga conto delle caratteristiche di ogni bambino nelle sue varie e peculiari fasi di crescita) la salute, il benessere e il gusto
  • Cucinare per il proprio bambino, e quindi impiegare tempo a scegliere i prodotti freschi e prepararli, NON E’ UNA PERDITA DI TEMPO ma è un atto di amore equivalente all’allattamento al seno. Impieghiamo ore e sudore ad incoraggiare l’allattamento materno (combattendo ogni latte artificiale) e poi quando si tratta di svezzare cadiamo in “mangimi” senza utilità e sbilanciati. Suvvia: è un paradosso!
  • Diamo ai nostri figli la possibilità di imparare sin da piccoli il valore di una alimentazione equilibrata, saporita, varia ed interessante. Mangiare bene è una forma di cultura e noi, qui in Italia, possiamo vantarci di poter insegnare a tutto il mondo cosa voglia dire mangiare sano.

 

Nella speranza di aver contribuito ad una presa di coscienza saluto con affetto chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui nella lettura :-)

2 pensieri su “Cucinare per il proprio bambino è un atto di amore…come e più che allattare al seno

  1. E’ molto apprezzabile in un contesto sociale predominato dalle continue valutazioni delle petformance in tutti i campi, soffermarsi sul valore del tempo e soprattutto di un tempo dedicato ad un’operszione, quella della nutrizione e crescita dei propri piccoli, permeta di sollecitudine, delicatezza e attenzione.

  2. Parole sante, i figli vanno educati ad una buona e sana alimentazione! Probabilmente bisogna dedicarci più tempo, ma ne vale la pena. :-)

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