Vogliamo parlare di calo fisiologico alla nascita, dei suoi pericoli e dei sistemi per prevenirli?

 

disidratazione-bambini27/5/2015

Il giorno 5/5/2015, sul portale allattamento della Società Italiana di Pediatria, il Dr. Renato Lucchini, ricercatore alla Sapienza ed in forza alla TIN del Policlinico Umberto I, ha pubblicato la recensione ad un articolo riguardante i grafici di valutazione del calo ponderale alla nascita. Ricordo che storicamente, per quanto attiene a questo argomento, si ritiene prudente considerare ancora normale un calo massimo del 10% del peso alla nascita, pena diverse conseguenze anche molto gravi (disidratazione, ittero intenso, rischio di squilibri elettrolitici, ecc.). Nel quadro dell’attuale situazione, in cui la difesa e la spinta sull’allattamento al seno esclusivo sono divenute di primaria importanza (anche sulla scorta delle indicazioni OMS/Unicef sull’Ospedale Amico del Bambino), si tende a “glissare” un pochino sull’entità del calo che, nei neonati allattati esclusivamente al seno, specie nei primissimi giorni di vita (quando la montata non benedice con la sua venuta la conclusione del lieto evento), comunemente tende ad essere più facilmente vistoso. Il Dr. Lucchini è un coraggioso e strenuo fautore dell’allattamento al seno (la mia stima e considerazione per lui sono assolute: l’ho conosciuto di persona anche come professore e so quanto valgano le sue parole) ma in questa recensione ha espresso, a coronamento dell’esposizione, un personale commento o, meglio, ha insinuato un dubbio che mi ha lasciato qualche perplessità. Riporto integralmente il suo intervento:

“”In questo studio di autori californiani vengono proposti dei nomogrammi del calo ponderale percentuale nei neonati a termine allattati esclusivamente al seno, realizzati su un campione di oltre 100.000 neonati. Le curve di riferimento sono divise per neonati da parto vaginale o da parto cesareo, in rapporto alla diversa durata media dell’ospedalizzazione. È importante precisare che sono stati esclusi dallo studio tutti i neonati in cui si è resa necessaria una supplementazione con formula. Gli autori presentano i nomogrammi come strumento utile per identificare i neonati che si discostano dalle normali traiettorie con un eccessivo calo ponderale, condizione associata a rischio di ipernatremia e iperbilirubinemia. All’analisi dei nomogrammi colpisce che un calo ponderale superiore al 10% è piuttosto comune, interessando a 72 ore circa il 10% dei neonati da parto vaginale e il 25% dei nati da parto cesareo. È evidente che ogni condizione in cui si sospetti una disidratazione richiede accertamenti (natremia) e controlli più stretti (osservazione clinica del bambino, emissione di feci e urine, soddisfazione dopo il pasto, pienezza del seno materno, frequenza delle poppate), tuttavia lo studio fa riflettere: i neonatologi devono rivedere la loro “decafobia” (paura del calo >10%), analogamente a quanto successo per la “vigintifobia” della bilirubina?”"

Da buon osservatore (e noto polemista) non mi sono allora lasciato sfuggire l’occasione di commentare questo pezzo. Riporto integralmente il mio intervento:

“”Gentile Dr. Lucchini, mi permetto un commento a questa sua recensione dell’interessantissimo articolo di Valerie Flaherman, autrice anche dei due articoli pubblicati su Pediatrics nel 2013 e nel 2015 in cui si parlava di un miglior effetto sulla montata delle piccole supplementazini dopo seno in caso di excessive weight loss (e che tanti dolori mi hanno causato nel momento in cui timidamente mi sono arrischiato citarli positivamente, a conforto della mia analoga esperienza in un mio recentissimo intervento in questa stessa sede). Le cose assumono un aspetto diverso a seconda dell’angolazione da cui le si osserva per cui non avrebbe torto neanche chi affermasse che la gallina è il mezzo con cui l’uovo perpetua se stesso. Lei dice che il 10% dei nati da parto vaginale e il 25% di quelli da cesareo che sviluppano a 72 ore un calo maggiore o uguale al 10% del peso nascita, rende il dato “comune”, osservando con occhio ottimistico la situazione dipinta nei nomogrammi della Flaherman. Essendo questo il primo punto da capire meglio a mio giudizio, vorrei segnalarle, se le interessa, che il mio occhio non è altrettanto sereno ma alquanto preoccupato: il dato non è “comune” (il che indicherebbe normalità) ma è “frequente” (accezione ben differente). Se lei infatti interfaccia queste percentuali con quella dell’incidenza media di disidratazione ipernatremica (che come sa non interviene frequentemente a 72 ore ma ha il suo massimo in 8°-10° giornata….quando la madre sta a casa alle prese con problemi di allattamento non marginali), scopre un valore medio che, a seconda degli studi, varia (tra Paesi caldi e Paesi temperati) tra un minimo del 3 ad un massimo del 4,1%. Voglio dire che quello che accade nelle prime 72 ore (o anche meno, se mi è concesso) ha conseguenze piuttosto significative nei giorni successivi. Certo che un calo del 10% a 72 ore di per se non desta particolari preoccupazioni ma solo perché da quel momento (o un po’ prima, per la mia esperienza) qualcuno fa qualcosa per evitare che incrementi. A questo proposito l’instancabile Flaherman e il suo gruppo, del quale fa parte anche Thomas Newman, suo mentore particolarmente interessato all’ittero patologico da disidratazione, ha pubblicato un interessante articolo (nel 2013) riguardante un aspetto inerente a quanto sto dicendo e cioè che la percentuale di calo entro le prime 24 ore può essere un fattore predittivo, nei neonati allattati esclusivamente al seno, di un nadir ponderale entro i primi 30 giorni di vita. In quello studio (effettuato su un consistente numero di neonati pari a 63096) si è osservato, mediante analisi multivariata, che i neonati che entro le prime 24 ore avevano perso più del 5%, entro il primo mese hanno sviluppato EWL (ben oltre, quindi il 10%) in una percentuale pari al 29% (OR 4.06, 95% CI 3,69/4,46 e dopo eliminazione dei fattori di confusione). Ma vado anche oltre, lasciando in pace la pur paziente Flaherman, sbilanciandomi su un altro versante. Oddie, nel 2013 (anno magico evidentemente) ha condotto uno studio interessantissimo sulla disidratazione ipernatremica rilevando che su 62 casi accertati di questa patologia, 61 erano allattati esclusivamente al seno. Le cito i valori che sono intriganti: alla mediana di 6 giorni (max 17 gg.) il valore mediano di calo era il 19,5% (max 30,9%). L’esito è stato per tutti positivo, dopo terapia, ma alla dimissione soltanto il 10% ha continuato l’allattamento al seno esclusivo. L’altro polo del problema è rappresentato dall’ittero. Yang, su BMC pediatrics, ha messo in relazione calo ponderale e ittero a 72 ore dalla nascita rilevando nel gruppo trattato per ittero (33,5% della popolazione studiata con valore di bilirubinemia pari o superiore a 15) un cutoff del BWL a 24 ore superiore al 4,5%, a 48 ore superiore al 7,6% e a 72 ore superiore al 8,16%. Gli autori concludono che, per il contenimento dell’ittero, questi valori percentuali di calo in relazione alla giornata di vita sono indicativi per decidere se iniziare o meno una supplementazione. In Inghilterra/Irlanda, a completamento di quanto sopra, è stato effettuato uno studio sull’incidenza di ittero grave in relazione a variabili cliniche e demografiche valutandone poi gli esiti (Manning). Nella casistica l’80,5% dei piccoli erano allattati esclusivamente al seno. In 14 casi (su 214) era in corso una encefalopatia (con tre decessi come esito). Concludo: nella sua frase finale della recensione lei ha ventilato l’ipotesi che da parte dei neonatologi debba forse esaurirsi, rispetto al calo fisiologico, la “decafobia”. A fronte di alcune evidenze, sinceramente, io la decafobia la conservo. Con grande stima, ringraziandola per l’eventuale attenzione e rimanendo a disposizione per ulteriore approfondimento, la saluto.”"

BIBLIOGRAFIA
Arch Dis Chil Fetal Neonatal Ed 2013 Sep 2013;98(5):384-7
Severe Neonatal Hypernatremia: a population based study
Oddie SJ et al

BMC Pediatr 2013 Sep 21;13:145
Bodyweight loss in predicting neonatal hyperbilirubinemia 72 hours after birth in term newborn infants
Yang WC et al

Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2007 Sep;92(5):342-6
Prospective surveillance study of severe hyperbilirubinemia in the newborn in the UK and Ireland
Manning D et al.

Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2013;98(6):488-92
First-day weight loss predicts eventual weight nadir for breastfeeding newborns
Flaherman VJ et a.

 

Nella discussione si è inserito anche il Prof. Riccardo Davanzo (Burlo Garofolo – Trieste) che ha ribadito come il controllo clinico sia essenziale per distinguere caso da caso in merito all’efficienza dell’allattamento al seno pur in presenza di cali anche superiori al 10%. In pratica ha insistito sul fatto che, tenendo presente come parametro acquisito un calo che non dovrebbe mai superare il 10% del peso alla nascita, in alcune situazioni una maggior perdita di peso diviene tollerabile se la valutazione clinica (suzione valida, vivacità, numero di attacchi, ecc.) è confortante. Anche a questo ho ritenuto di rispondere con un commento che riporto integralmente:

“”Sono particolarmente contento dell’intervento del Prof. Davanzo in questa piccola discussione. Quello dell’EWL è un argomento che mi sta particolarmente a cuore e quindi poterne parlare in modo allargato mi rende possibile confrontarmi e capire meglio sia “se” sia “come” intervenire. Vedo con piacere che anche al Burlo Garofolo l’uso di eventuali supplementi (quando questi siano indicati e per il tempo strettamente necessario) è certamente non routinario ma comunque accettabile: considerando la fonte di queste parole mi sento un po’ meno paria di quanto mi si voglia far sentire da più parti. Personalmente non ho mai amato un eccesso di schematizzazione delle features neonatali (peso, lunghezza, ecc.): ho la sensazione nettissima che seguendo nomogrammi e grafici ci sia il pericolo di una eccessiva ed inutile medicalizzazione. Mi piace sicuramente essere confortato da qualche numero ma preferisco ancora (e sposo in pieno la conclusione del Prof. Davanzo) che la clinica e la valutazione diretta siano le migliori guide per valutare ogni singolo caso. Nella nostra casistica i veri cali “minacciosi” (escludendo i piccoli patologici e calcolando solo i neonati sani di EG maggiore o uguale a 36 settimane esclusivamente allattati al seno) sono stati pochi: più o meno il 4,8% del totale (circa il 33% del gruppo dei supplementati; gli altri a cui è stato dato supplemento erano i francamente patologici o coloro le cui madri hanno scelto di non allattare). Possiamo essere contenti e ci possiamo considerare (anche se non ufficialmente, sia chiaro) “baby friendly”. Ma in tutto ciò rimane sempre il dubbio che la rassicurazione data da un bambino vispo, che si attacca bene, che succhia avidamente, che richiami spesso, ma che continua a calare, sia abbastanza aleatoria, a meno che (e non sempre è possibile farlo) non si riesca, con lo stratagemma della dimissione protetta e della richiesta ai genitori di tornare anche più volte per controllare l’andamento dell’allattamento, a tenere sotto controllo il piccolo anche a distanza dalla dimissione. Spesso accade che il bambino venga rispedito in ospedale per una persistenza dell’ittero o per un failure to thrive – rilevati dal pediatra di base magari dopo 8-10 anche 15 giorni – e che quasi invariabilmente la disidratazione ipernatremica, ancora asintomatica, sia invece l’elemento dominante (e che più preoccupa). Ma, se mi è consentito, vado anche oltre: un latte materno che nella fase colostrale/transizionale (e quindi fino alla 10°-14° giornata in molti casi) tenda a conservare un alto contenuto in sodio (già di per se fisiologicamente elevato almeno nei primi 3-4 giorni) genera, pur in presenza di una buona produzione, un notevole carico di soluti (Moritz, Pediatrics 2005). Quanto influisce sull’ipernatremia questo elemento e quanto gioverebbe al bambino, ad esempio, un apporto di liquidi iposmolari per ottenere un bilancio senza minimamente ricorrere a supplementi di formula? Già di per se l’ipernatremia, e il carico di soluti, generano a livello del rene immaturo situazioni paradossali (sodio perso in abbondanza con liquidi al seguito persi per effetto osmotico quindi diuresi apparentemente normale pur in presenza di ipo/disidratazione). Domande su domande per chi osserva con attenzione tutti i casi possibili. Timidamente credo che la soluzione a questi problemi stia semplicemente nel prolungare la degenza post-partum: a 48 ore, per un parto spontaneo, deve succedere ancora tutto. Ma tant’è: la degenza costa, il territorio non supplisce, il medico di base non ha mezzi di valutazione laboratoristica e così finisce che aumenta il numero dei reingressi in ospedale (molto più costosi di quanto sarebbe un prolungamento della permanenza in reparto di un parto fisiologico).”"

La discussione è continuata con interventi da parte del Prof. Raimondi e del Dr. Giachetti (Univ. Napoli FedericoII) entrambi ottimisti dal punto di vista del controllo neonatale post dimissione attraverso l’istituzione di una rete di protezione e controllo sul territorio. Il Dr. Giachetti ha citato l’esempio della Svezia, Paese nel quale la dimissione avviene anche dopo sole 12-24 ore dalla nascita e dove a domicilio vengono effettuati tutti i necessari passi per valutare l’andamento dell’allattamento ed il benessere di madre e neonato. Il Prof Raimondi ha auspicato altrettanto in Italia dichiarandosi dubbioso che un prolungamento della degenza sia utile quanto un potenziamento ed un maggior empowerment dei medici/operatori sul terrotorio (anche dal punto di vista della valutazione clinica/ematochimica dei neonati).

Anche qui non ho saputo resistere ed ho commentato a mia volta. Riporto integralmente:

“”La permanenza in ospedale (sotto controllo clinico) è, allo stato, innegabilmente breve. Chi viene a partorire in ospedale parte già con l’idea di voler essere protetto dal punto di vista sanitario. Non così chi sceglie, ad esempio, di partorire in casa dato che in questa ipotesi è già in contatto con una ostetrica che, nel follow up, controlla non solo l’andamento del puerperio ma anche tutto ciò che attiene all’allattamento (magari quotidianamente e per un certo numero di giorni). Chi va a partorire in ospedale fa parte di una quota di popolazione che dal servizio sanitario si aspetta qualcosa. Fa parte della cultura italiana. Questo ci dovrebbe portare a misurare la degenza sui fenomeni post partum che hanno, nella media, dei tempi abbastanza prevedibili (massimo del calo circa in 4° giornata, picco dell’ittero circa in 4° giornata, ecc.) e non su esigenze di tipo strettamente economico. Il territorio (checché se ne dica) non supplisce in modo efficiente ed automatico di fronte a questi fatti: in un mondo perfetto la donna dimessa col suo piccolo a 48 ore (degenza media per uno spontaneo) o a 72 ore (degenza media per un cesareo senza complicanze) ed ancora in uno stadio precoce per la montata, dovrebbe immediatamente trovarsi seguita da chi le controlla gli attacchi, da chi le valuta lo stato del neonato, da chi tiene sotto controllo l’iperbilirubinemia, ecc. e così non è a meno che non ci si rivolga ad associazioni di volontariato o a IBCLC (le prime gratuite e le seconde a pagamento). Possiamo parlare di teorie ma la pratica purtroppo è questa. In Svezia (Paese con altre risorse: PIL pro capite che è passato dai 30.000 dollari del 2000 a 60.000 dollari del 2013 contro un PIL pro capite italiano che è calato del 30% tra il 2008 e il 2013 assestandosi su circa 36.000 dollari) c’è una cultura consolidata in questo senso: In Svezia chi partorisce sa che, essendo questo il protocollo (12-24 ore di permanenza), ha a disposizione una rete di assistenza sul territorio (non so se gratuita o libero professionale) che valuta, aiuta, corregge ed eventualmente rileva necessità diagnostiche o terapeutiche. In Italia c’è invece una cultura di tipo “assistenziale”: “Vado in ospedale e li fanno tutto quello che è necessario”. Sociologicamente credo che occorra tener conto di questo atteggiamento e che quindi sia necessario misurare gli interventi con la guida non soltanto di protocolli universali (che possono fornire un goal) ma soprattutto di situazioni contingenti (culturali, economiche, emotive e quant’altro). Un neonato sano necessita di follow up uguale o lievemente superiore a 72 ore. In alternativa, come ho già detto in un precedente commento, bisogna ricorrere alla dimissione protetta o a controlli in ospedale reiterati successivi alla dimissione in cui si valutino crescita, vivacità, ittero, ecc. in modo che la correzione avvenga sotto la responsabilità di chi ha seguito il piccolo sin dalla nascita ed è al corrente di tutto ciò che è avvenuto tra il parto e la dimissione (Apgar, eventuali tachipnee transitorie, necessità di più o meno intensi interventi rianimatori, andamento del parto e chi più ne ha più ne metta). Nel nostro Centro tutto ciò che desta “sospetto”, anche teorico rispetto alla possibile insorgenza di EWL a seguito di allattamenti ancora imperfetti viene seguito in questo modo. E’ estremamente faticoso, dato che grava sull’impegno dei singoli già presi dall’attività clinica, ma si è rivelato efficace. Un discorso a parte (e spero che per questo io non incorra in crocifissioni fantozziane in sala mensa) meriterebbe poi la facilità con cui molti medici di base – non tutti ovviamente – (coloro ai quali, in maggior quota si rivolgono le puerpere nel post-dimissione) ricorrano, in caso di dubbio o di crescita ancora imperfetta, a corposi supplementi o sospensioni del seno in favore delle formule: non dico nulla di strano ma spesso è così (ho salvato ben più di un allattamento che veniva giudicato insufficiente…). L’EWL e la disidratazione ipernatremica richiedono pressoché sempre un intervento medico drastico (a volte per via parenterale) ed accorgersi del loro insorgere soltanto basandosi su quanti pannolini il bambino riempie a mio parere e per la mia esperienza non è proprio insindacabile.”"

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