Allattamento al seno: non trasformiamolo in una gara

 

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Dicembre 2013.

La premessa, sull’allattamento al seno, è sempre la stessa ed è irrinunciabile: per il neonato non c’è cosa migliore del latte materno sia dal punto di vista strettamente nutrizionale sia da quello affettivo. Lo sottolineo perché quanto sto per dire potrebbe essere male interpretato da quante/i, strenuamente e talora “talebanamente” (diciamolo con coraggio e senso della realtà), potrebbero pensare che io sia incline a favorire il commercio di “surrogati” (latti artificiali e quant’altro) a scapito del più naturale e favorevole sistema nutrizionale neonatale. La mia lotta per far capire la posizione che occupo su questo tema, come neonatologo e pediatra, è quotidiana ma di difficile sostegno: alla lunga stanca. Chi mi conosce sa benissimo come la penso, sa con quanto calore mi pongo come puntello per favorire e mantenere l’allattamento naturale, con quanta razionalità spiego gli enormi ed insostituibili vantaggi della metodica se mi accorgo di un cedimento o di uno sconforto, con quanta dedizione mi affianco alla mamma in difficoltà. Ma qui finisce la premessa e spero sia sufficiente per comprendere quanto, d’ora in poi, andrò a dire.

 L’allattamento è il naturale proseguimento di quel fenomeno straordinario rappresentato dal “produrre vita”: il corpo della donna è progettato per questa funzione e quindi è giusto sottolineare che la vera agalattia (cioè l’assoluta impossibilità di produrre latte) è quasi una rarità (affligge non più del 2-3% delle donne) se si osserva la cosa dal punto di vista strettamente fisiologico. Ossitocina, prolattina, ormoni tiroidei, insulina, insomma un esercito di secrezioni e una congerie di recettori, stanno li, fanno la loro funzione e la mamma sprizza latte ingrassando il bimbo. Un quadro semplice (se visto da quest’angolazione) fino a che non si fa un calcolo più complessivo dei fattori che circondano l’allattamento nella specie umana (e sottolineo “nella specie umana”). Già, perché non va trascurata, come elemento centrale, la caratteristica più importante di questa specie: la psiche.

 Sulla psiche intervengono l’ambiente, lo stile di vita, l’economia; intervengono la struttura psichica di base, il temperamento, le motivazioni; intervengono la composizione della famiglia, l’età, la situazione lavorativa; intervengono l’esperienza vissuta nella famiglia di origine, il grado di scolarizzazione, il tipo di attività svolta; intervengono i mass media, gli “esperti”, le opinioni di chi è intorno. Una massa di variabili indipendenti che rendono l’equazione “allattamento” piuttosto complicata, in taluni casi, da risolvere.

 Fatta salva la produzione di latte (per un momento diamola per scontata anche se così non è) l’atto di allattare si carica di significati e di gravami talvolta piuttosto rilevanti se si osservano dal punto di vista di una donna. In teoria l’evento allattamento è naturale conseguenza del parto e quindi va accettato come tale, naturalmente e semplicemente. In pratica, invece, c’è una spinta che definirei “agonistica” verso l’allattamento al seno, tale da determinare intralci di non piccolo conto.

 Enumererò qui di seguito i messaggi che noto con maggiore frequenza: all’affermazione segue, tra parentesi, la conseguenza percepita dalla (e/o implicitamente suggerita alla) nutrice

1)      Tutte hanno latte, basta volerlo (quindi se non hai latte è colpa tua)

2)       Il bambino deve attaccarsi come, dove, quando e quanto vuole (quindi trasformati in un distributore automatico dimenticando il tuo essere persona/moglie/compagna)

3)      Il latte va dato indiscriminatamente di giorno e di notte (quindi preparati a non dormire più se non per poche ore)

4)      Il bambino che prende il latte della mamma è candidato ad essere più bello, più bravo, più intelligente di quello che prende latte artificiale (quindi se non allatti condanni tuo figlio per tutta la vita)

5)      Se non ce la fai, semplicemente tieni duro (quindi non ascoltare l’istinto che ti suggerirebbe di razionalizzare l’allattamento in modo da renderlo sostenibile)

6)      Il tuo latte è l’unica cosa possibile (quindi se anche lontanamente pensi di non farcela non sei una buona madre)

 …….Magari è meglio se non vado avanti, ma di affermazioni che nascondono un “additare” ce ne sono moltissime altre.

Come si vede non c’è alcun incoraggiamento, nessun suggerimento su come rendere l’allattamento un piacere, su come vedersi donne complete e non ridotte a seni gonfi e occhiaie profonde, su come inserire il nuovo nato in un ambito allargato di famiglia nel senso più ampio del termine, su come evitare un “esclusivismo affettivo” che, come Jovanotti ha riassunto in un suo pezzo, trasforma un grande abbraccio in una catena.

 La promozione dell’allattamento al seno è cosa buona e giusta, va fatta senza discussioni e tentennamenti ma, mi si lasci dire, tenendo conto delle varie situazioni. Ogni donna è diversa, ogni famiglia ha le sue caratteristiche, ogni bambino ha le sue esigenze, quindi quando si incoraggia occorre essere consapevoli di quanto circonda la donna medesima e della sua capacità di recezione dei messaggi in una fase della vita (quella del post partum) in cui a farla da padrone è una fisiologica fragilità fisica ed emotiva.

 Il primo cardine su cui incentrare il discorso è quello di non far sentire “incastrata” la donna in un ruolo: escluderei dunque (per esperienza ed a priori, visto che la metodica funziona) l’obbligatorietà trasformandola in una naturale conseguenza, lasciando quindi una possibilità di scelta. Non più, quindi, colpevolizzare madri che per tanti motivi decidessero di evitare o limitare o razionalizzare l’allattamento ma, semplicemente, informarle sui suoi vantaggi, sulla comodità, sull’economicità. Con questo sistema sono riuscito a far allattare donne che erano partite molto male in quanto a disposizione personale ma che successivamente hanno trovato una dimensione accettabile nel rapporto seno mediato, tanto da superare abbondantemente l’anno.

Il secondo cardine è quello di suggerire metodiche che consentano alla donna di gestire l’allattamento in modo che non influisca negativamente sulle azioni della vita quotidiana (ad esempio proponendo sistemi per stimolare efficacemente la mammella senza necessariamente ridurre tutta la vita a suzione ed attacco). In tal modo sono riuscito a far si che potessero anche riposare efficacemente e quindi a non considerare un peso o uno stress ogni pianto/richiamo del bambino.

Il terzo cardine è considerare che se l’allattamento, pur efficiente dal punto di vista della quantità di latte prodotta e della crescita del bambino, ha come contropartita una donna esaurita nel fisico e nella psiche, è il caso di razionalizzarlo (ad esempio come orari e come tempi di attacco). Non vogliamo certamente che a disposizione del bambino ci sia una mamma il cui pensiero ricorrente sia “chi me lo ha fatto fare…”. Così facendo ho ottenuto il doppio vantaggio di garantire al bambino il miglior nutrimento, associato ad una mamma soddisfatta (quindi più pronta, meno stressata e certamente più attiva anche sul fronte delle stimolazioni e dell’erogazione di affetto, sia col figlio che col compagno…..cosa quest’ultima spesso trascurata).

 Analisi rischio/beneficio: questo è quello che ho sempre in mente e che cerco di aver presente quando faccio promozione. Se il costo emotivo è alto devo giocoforza valutarne le conseguenze e quindi prendere le opportune misure: non posso permettermi di standardizzare gli interventi, protocollandoli freddamente senza tenere conto delle persone su cui vengono applicati.

Sarebbe dunque utile procedere con cautela cercando di:

1)      Evitare di instillare sensi di colpa più o meno chiari

2)      Lasciare una serena decisione alla donna su COME gestire l’allattamento: se non se la sente di fare quello “a richiesta” ne è legittimata

3)      Lasciare che madre e figlio trovino un loro ritmo personale consentendo alla donna di potersi occupare di se stessa in quanto persona (dormire, vedere gente, fare una passeggiata con le amiche, truccarsi, ecc.)

4)      Includere il padre nel nucleo di nuova formazione: l’esclusivizzazione (brutto termine ma illustrativo) non porta alla collaborazione mentre la richiesta di aiuto e l’affidamento di alcune mansioni conducono ad un consolidamento degli affetti (con beneficio sia della donna che del bambino)

5)      Far capire alla donna che seppure il latte della mamma è in assoluto il migliore alimento per il neonato, lo è appunto SOLO COME ALIMENTO: l’affetto, l’amore, la dedizione, il calore, la sicurezza PASSANO PER ALTRI CANALI. Chi allatta artificialmente ottiene dei figli allo stesso modo sani, belli, intelligenti dato che queste qualità non sono indotte solo da ciò che si mangia ma da ciò che si esperisce dal punto di vista sociale/educativo/istintuale/affettivo.

 Allattare non è una gara e non deve indurre ansia da prestazione: solo la naturalità dell’atto e la sua accettazione da parte della donna devono condurre il gioco. Si può essere ottime madri anche se si decide di non allattare o se ne è impossibilitate. Ho caricato, su questo argomento, un video su youtube (il link è nella home page del mio sito www.stefanotasca.altervista.org)

3 pensieri su “Allattamento al seno: non trasformiamolo in una gara

  1. Gentile Dottore,ho scoperto oggi il suo sito e il suo blog ed è inutile dire che ho letto tutto in un colpo presa dalla curiosità. Le scrivo però per incitarla a scrivere un suo parere in merito all’RGE . I miei figli hanno sofferto (18 mesi uno ) e stanno soffrendo ( 3 mesi e mezzo l’altra) di questa brutta ‘malattia’ ( mi passi il termine,so che esistono patologie più gravi ma non riuscire ad alimentarsi per un neonato penso sia molto grave ) e quasi nessuno ne parla perché ancora in fase di studio..a tal proposito,se i miei figli potessero ‘servire’ per migliorare la vita di qualche altro bimbo messo nelle loro condizioni metterei a disposizione il loro quadro clinico. Nel frattempo rimango nel dubbio su come alimentare la mia di figlia,cosa integrare alla sua scarsa dieta di latte materno ( prenderà si e no 80 gr di latte ogni poppata,che si aggirano intorno alle 6-7 al giorno quando ci va bene) . Ho letto che Lei consiglia lo svezzamento anche a questa età ma cosa dare ad un ‘ reflussante’ che non possa provocare un aumento di acidità??? Scusandomi per l’intervento prolisso le porgo i miei saluti e la ringrazio per aver messo a disposizione di tutti i suoi studi compiuti e che compie ogni giorno, valido aiuto per noi madri che riceviamo sempre meno tempo nelle cliniche pediatriche…Alessandra

  2. Rispetto a queste voci talebane di cui lei parla, nel mio caso è stato molto più semplice ignorare quelle, che mi incitavano a non razionalizzare l’allattamento per armonizzarlo con gli altri aspetti della vita familiare e lavorativa, che reggere le continue ingerenze dei detrattori dell’allattamento tout court.
    Personalmente ho avuto molto sostegno e informazioni preziose da parte delle consulenti de La Leche League, presso le quali non ho mai percepito dita puntate alle madri, atteggiamento che, sì, si incontra facilmente in gruppi social e blog e di cui lei parlain questo articolo. A ogni incontro de LLL a cui ho parecipato ho potuto riscontrare che l’obbiettivo era l’empowerment della madre. Ho trovato accettazione delle mie scelte da parte della seconda pediatra di mia figlia, informazioni fuorvianti dalla prima, critiche basate su informazioni altrettanto scorrette e datate da parte di una ginecologa, solo critiche, sempre prive di qualsiasi fondamento scientifico, ma non per questo meno ostinate, da parte delle educatrici del nido e di alcuni familiari, segnatamente le donne di famiglia dell’età di mia madre, convinte che l’allattamento sopra l’anno sia disdicevole.
    Se non avessi avuto pieno appoggio dal mio compagno, probabilmente avrei mollato, pur in assenza di problemi. Andando in cerca di responsabilità su ciò che rende difficile l’allattare nel nostro paese, guarderei in primis alla debolezza istituzionale (se non all’assenza istituzionale) nel sostegno alla genitorialità. In seconda battuta però mi rivolgerei a tutta quella resistente subcultura nemica dell’allattamento al seno, tanto radicata presso le/i sessantenni e settantenni di oggi, che guarda caso hanno vissuto, da madri e non, l’allattamento negli anni d’oro del marketing selvaggio, quando produttori di LA e babyfood dettavano l’agenda e gli unici dogmi erano doppia pesata, poppate a orario dal primo giorno e svezzamento a 4 mesi. Penso quindi che lei stia sollevando un problema che esiste, ma marginale rispetto ad altri.

    • Molto probabilmente ha ragione in pieno. Credo fermamente che in tema di allattamento le scelte debbano essere libere e guidate dal proprio istinto. Siamo in un’epoca in cui l’eccesso di informazione paralizza la possibilità di scelta: i dubbi sono più delle certezze e quindi la paura di sbagliare domina il quadro rendendo necessario aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno che diriga o conduca o peggio scelga al posto nostro…e questo, se ci ha fatto caso, avviene in tutti i campi. Io svolgo corsi di preparazione al parto dove parlo proprio di questo oltre che di genitorialità. Ritengo infatti che aprire nella mente delle persone lo spiraglio di una possibilità di scegliere autonomamente, sfatando miti e terrori, sia la chiave per rendere liberi e consapevoli. Ha ragione anche quando dice che sono più quelli che avversano l’allattamento naturale di quelli che lo favoriscono e la cosa grave è che sovente la categoria più attiva (e distratta…e superficiale) è quella dei pediatri: facile infatti, in condizioni di dubbio sulla congruità di una montata lattea, scivolare sull’artificiale…facile e risolutivo in ordine al risparmio di tempo ed energie necessari per favorire i meccanismi galattogoghi e galattopoietici, che non sono solo fisici ma soprattutto psicologici. Ne ho scritto qui sul blog: se le va di perdere un pò di tempo ha da leggere. La ringrazio molto della sua nota. L’unica cosa su cui ho dei dubbi, tra le cose da lei dette e con le quali concordo, è sul fatto che quel che segnalo sia marginale. Dopo trent’anni e passa di lavoro sul campo le assicuro che i problemi maggiori sono nel convincere le donne a sentirsi sicure di se stesse e delle proprie scelte… e dalle sue parole traspare esattamente questo: troppe voci ad instillare dubbi. In merito allo svezzamento a 4 mesi sarebbe meglio non citarlo come elemento negativo: io lo propugno da anni ed anni per questioni fisiologiche stricto sensu e non per altro ma sempre più studi dimostrano ampiamente che l’età ideale per introdurre nuovi alimenti, sia a scopo nutrizionale che in ordine alla prevenzione di allergie, è proprio quella. Mi piacerebbe parlare ancora con lei della sua esperienza per farne materia di un eventuale ulteriore articolo di approfondimento. Se può farle piacere mi scriva in privato tasca@tiscali.it

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