A quale mese di solito inizi lo svezzamento in un lattante sano a termine?

 

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Questa era la domanda di un sondaggio condotto sul portale allattamento della società italiana di pediatria. Come si vede il 79% dei colleghi inizia tra il 5° e il 6° mese, un 13% oltre il 7° mentre solo il 7% al 4°. Non ci siamo proprio perchè queste percentuali attestano, da parte dei colleghi, non un ragionamento logico/scientifico basato sulle evidenze e la letteratura recente, ma la pedissequa aderenza a vecchie indicazioni dell’OMS. Sul sito ho inviato un mio commento a questa statistica che riporto integralmente:

“”Sono uno dei 21 (7%) che scelgono di iniziare il divezzo a 4 mesi. Lo faccio a ragion veduta, ormai da moltissimi anni, ho raccolto una vasta casistica e ci ho scritto sopra veramente tanto. Non voglio ignorare l’OMS che svolge un lavoro strenuo ed ottimo sul fronte delle norme per la salute su scala mondiale: semplicemente ne ridimensiono le indicazioni (e non sono il solo, dato che negli ultimi anni più di uno studio confuta l’universalità delle sue linee guida). Già anni fa mi sono andato a leggere gli originali di tutto quanto da essa pubblicato in materia di allattamento e nutrizione infantile: il target privilegiato dell’Ente è quella quota enorme di popoli in via di sviluppo che vivono in povertà e non hanno mezzi efficienti di reperimento, preparazione e conservazione del cibo sia per motivi climatici, sia economici, sia ingienico/sanitari. In tali condizioni l’allattamento al seno esclusivo e l’introduzione tardiva di solidi sotto la protezione del latte materno sono quanto di meglio si possa auspicare per assicurare non solo la crescita (che a quel punto è secondaria e scontata) ma soprattutto la prevenzione della morbilità/mortalità. Nei Paesi sviluppati (di cui, ricordo, facciamo parte) è davvero così necessario? Valanghe di lavori a livello internazionale hanno sondato, negli ultimi anni, la questione (l’OMS è rimasta un po’ ferma a lavori datati…parliamo di studi della fine degli anni ’90/inizio 2000) andando a valutare vantaggi e svantaggi, non ultimi quelli dello sviluppo della oral tolerance e dell’accettazione di cibi diversi dal latte (e dei mezzi di somministrazione diversi dal capezzolo), scoprendo che prima si introducono tutti gli alimenti minore è la possibilità di indurre allergie, che il glutine va introdotto non prima del 4° ma non dopo il 6° mese, che i bambini allattati esclusivamente al seno per 6 mesi manifestano cali evidenti della ferritina, ecc. Dunque, date queste premesse, per noi “occidentali” l’esclusività del seno materno per 6 mesi non sarebbe “il meglio” ma un “meno peggio”, visto che abbiamo fonti di cibo affidabili, mezzi di conservazione del medesimo efficienti, possibilità di varianti alimentari eccellenti e sistemi di preparazione adeguati. Tengo a sottolineare che non sto parlando (ne sono lontanissimo) di alimenti industriali come farine, pappe pronte, liofilizzati, omogeneizzati e polveri: parlo dell’ottimo cibo fresco che con un po’ di applicazione può essere preparato in casa in totale sicurezza e con soddisfazione sia di chi confeziona sia di chi consuma. Vantaggi? Certamente un guadagno dal punto di vista dello stato del ferro (quindi si elimina la necessità di integrazioni farmacologiche) e del complesso dello stato fisico (tono muscolare, vivacità). Inoltre (ed è fondamentale in prospettiva) si ottiene una migliore accettazione degli alimenti, un minore (pressochè nullo se si procede con criterio) rischio di allergie alimentari ed un testimoniato ottimo rapporto anche psicologico col cibo (prevenzione di anomalie nel comportamento alimentare). La mia è una scelta meditata ed assolutamente consapevole: un’esperienza ormai trentennale mi sta dando conforto sempre di più. Volevo semplicemente condividere questi pensieri e circostanziare la mia posizione nel sondaggio”" (S. Tasca)

Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere

 

 

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